Testo: © Elena Percivaldi – ©BBC History Italia
Foto: © Annika Larsson – Uppsala Universitet
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(E.P.) Tracce di caratteri arabi ricamati su abiti vichinghi del X secolo: possibile? Sì, almeno stando ai ricercatori dell’Università svedese di Uppsala, che hanno illustrato i risultati condotti sui reperti di una necropoli del X secolo. Gli indumenti erano stati trovati già un secolo fa durante gli scavi archeologici di alcune tombe a nave e classificati come “normali” abiti funebri vichinghi: rinvenimenti di questo tipo a quelle latitudini, date le caratteristiche del suolo, sono in effetti tutt’altro che infrequenti. Riesaminando i materiali, però, Annika Larsson, archeologa specializzata proprio nello studio dei tessuti, ha notato una serie di piccoli disegni geometrici ricamati che, a suo dire, sarebbero scritti in caratteri cufici, uno stile calligrafico della lingua araba. Tra le parole decifrate ci sarebbero i nomi di Ali, il quarto califfo dell’Islam, e di Allah.
La scoperta, ha spiegato Larsson, è estremamente interessante perché testimonierebbe l’esistenza di rapporti tra il mondo vichingo e quello islamico ben più stretti di quanto si sia ritenuto finora. Non è la prima volta che i contesti archeologici della Scandinavia restituiscono oggetti con iscrizioni arabe: in una tomba femminile scavata a Birka, ad esempio, è stato ritrovato un anello d’argento con l’invocazione “per Allah”. Con ogni probabilità in quel caso – come in altri – si trattava di oggetti preziosi frutto di saccheggi oppure di commerci, ben noti e attestati tra il Mediterraneo e la Scandinavia. Secondo l’archeologa di Uppsala, però, il caso dei tessuti sarebbe diverso: essi potrebbero infatti fornire la prova che i corredi funebri vichinghi fossero influenzati dall’Islam, e in particolare dall’idea di una vita eterna dopo la morte. La studiosa si spinge a ipotizzare che il cimitero possa addirittura contenere i resti di persone di religione musulmana.
Naturalmente tra gli studiosi non è mancato chi ha espresso un forte scetticismo a riguardo. Prima fra tutte Stephennie Mulder, docente di Arte e Architettura Islamica all’Università di Austin, in Texas, che ha smontato l’intera tesi partendo da una constatazione inattaccabile: la calligrafia cufica – e in particolare il quadrato con il nome di Allah che la Larsson sostiene di aver trovato – è diventato di uso comune solo cinque secoli dopo la data a cui risalgono i tessuti vichinghi. Inoltre, sostiene la studiosa americana, la parola che si legge sarebbe al massimo “Illah” e non Allah, e non è nemmeno completa: secondo Mulder quella di Larsson sarebbe dunque una supposizione e nulla più. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Paul Cobb, professore di storia islamica presso l’Università della Pennsylvania, per il quale sarebbero solo speculazioni elaborate per spingere l’opinione pubblica verso “un’Europa più inclusiva”. In attesa che ulteriori studi facciano luce sulla questione, le polemiche hanno avuto il merito di fornire se non altro l’ennesima prova che anche la storia più remota può, in certi casi, assumere toni decisamente … contemporanei.
(da BBC History Italia, n. 81 – dicembre 2017)
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