SCOPERTE / Galles, da Carleon un’armatura “borchiata” di epoca romana attende risposte

di Massimiliano Visalberghi Wieselberger (*)

A Isca Augusta (o Isca Silurum), oggi Carleon, nell’attuale Galles meridionale, un tempo sorgeva un’antica fortezza romana che ospitava la Legio II Augusta.

Carleon, antica Isca Augusta: veduta della zona delle baracche militari

Il sito, in corso di scavo da circa 150 anni,  continua ad essere indagato. Nel 2011 è stato effettuato un  importante ritrovamento di ambito militare, la cui particolarità ha destato stupore tra gli studiosi.

Pianta della fortezza di Isca Augusta attuale Carleon, sede della Legio II Augusta

 

In un blocco di terra è emersa una serie di oggetti estremamente interessanti: un frammento di lamina in bronzo con una testa a fusione; un semplice disco sempre di bronzo,  una selezione di oggetti di ferro (non ancora identificati).

Dettaglio del blocco di terra con diversi oggetti descritti.

Ma il ritrovamento  più sorprendente restituito dal blocco è un gruppo di chiodini o borchiette disposti in file. Sono in bronzo, a testa piatta e sovrapposte, simili nell’aspetto alle puntine da disegno. La disposizione sembra imitare la ben nota armatura romna a scaglie, formata da piccole lamine a file sovrapposte, a imitazione delle squame di un pesce (e pertanto chiamata odiernamente dagli studiosi lorica squamata“).

Dettaglio dal blocco di terra: le file di borchiette collocate a formare uno schema.

Le borchiette rinvenute nello scavo  erano plausibilmente fissate ad un supporto, probabilmente in pelle: in tal modo andavano a costituire una protezione caratterizzata da flessibilità e  buona libertà di movimento. 

Il supporto si è oramai consumato, lasciando solo una macchia scura nel terreno. Lo spessore del materiale di supporto può però essere stabilito misurando la distanza che intercorre tra la testa e la curva nel perno.

Dettaglio di alcune delle borchiette viste di profilo e misurate. Foto all’ingrandimento del microscopio “magnificata” 10 volte.

Ora che il supporto è perduto, il terreno rimane l’unico “legante” a tenere insieme i perni. Uno sguardo più da vicino al microscopio rivela interessanti segni di fabbricazione sulle borchiette, ma non aiuta a rispondere all’intrigante quesito: come vennero realizzate?

Dettaglio di due delle borchiette ribaltate. Mostrano un tracciato a croce. Immagine al microscopio, “magnificata” 10 volte.

Suscita sempre stupore pensare a come, in un periodo precedente alla moderna meccanizzazione, i Romani riuscirono a realizzare  perni così piccoli e perfettamente identici, come se fossero stati prodotti in serie. 

A un esame più attento si può notare che nella realizzazione della protezione vennero impiegati diversi tipi di perni: alcuni sono a cupola, altri piatti. Inoltre sono presenti anche borchiette leggermente più grandi. Questo dettaglio potrebbe indicare che i singoli elementi furono disposti secondo un preciso schema.

Dettaglio di alcune borchiette di dimensioni più grandi, ritrovate nello schema. Immagine da foto al microscopio “magnificata” 10 volte.
Dettaglio di una delle borchiette con capocchia a cupola.

L’archeologa Penny Hill ha pubblicato sul blog del National Museum Wales alcune foto del suggestivo ritrovamento, lanciando nel contempo un appello: Ho inserito alcune immagini nel caso in cui qualcuno abbia mai visto un oggetto come questo prima d’ora, oppure  ami le sfide e abbia già compreso come questi piccoli spilli con testa a disco avrebbero potuto essere realizzati“.

La “caccia archeologica”, insomma, è ancora aperta!

Fonte (clicca sul link):
Articolo di Penny Hill sul Blog del National Museum Wales 

Per saperne di più sulla fortezza di Carleon (clicca sui link):
www.caerleon.net/history/dig/2008/index.html
web.archive.org/web/20081003103822
www.roman-britain.org/places/isca_silurum.htm
www.cardiff.ac.uk/history-archaeology-religion

 


(*)  Massimiliano Visalberghi Wieselberger è un archeologo e disegnatore archeologico che ha collaborato in scavi con varie Soprintendenze e Università.  Svolge per conto della UISP il ruolo di tecnico educatore culturale ed archeologico  tenendo laboratori, lezioni didattiche e conferenze sulle tipologie di archi tra Oriente e d Occidente, dalla Preistoria al Medioevo.  E’ consulente archeologico per alcune Associazioni di rievocazione e/o archeologia sperimentale. per cui prepara e sostiene didattiche collaborative, in nome della cooperazione culturale.

Pubblica su Academia.edu e per la rivista online Antrocom: Journal of Anthropology. Da quasi 10 anni è attivo nella divulgazione culturale su Facebook con lo pseudonimo “Max Berger” attraverso la diffusione di articoli, album fotografici con materiali archeologici e link di libri a tema storico-archeologico e antropologico.  Il suo motto è “Mai abbastanza”.