Spettacolare scoperta a Dongola, in Sudan. Gli archeologi del Centro polacco di archeologia mediterranea, Università di Varsavia (PCMA UW) hanno riportato alla luce una serie di stanze nascoste con pareti ricoperte di pitture raffiguranti la Vergine Maria, Gesù Cristo, l’Arcangelo Michele e un re nubiano. Gli affreschi sono ben conservati, hanno colori vividi e smaglianti e sono accompagnati da iscrizioni in greco e antico nubiano. E rappresentano, secondo gli esperti, un unicum nella storia dell’arte nubiana.

Spettacolare scoperta a Dongola, in Sudan. Durante gli scavi in alcuni edifici risalenti al periodo Funj (XVI-XIX secolo d.C.) nella città, situata sulla sponda orientale del Nilo a oltre 500 km a nord della capitale Khartoum, gli archeologi del Centro polacco di archeologia mediterranea, Università di Varsavia (PCMA UW) hanno riportato alla luce una serie di stanze nascoste con pareti interamente ricoperte di pitture raffiguranti la Vergine Maria, Gesù Cristo, l’Arcangelo Michele e un re nubiano. I dipinti murali, si legge nel comunicato diffuso dai responsabili della missione archeologica, sono ben conservati, hanno colori vividi e smaglianti e sono accompagnati da iscrizioni in greco e antico nubiano. E rappresentano, secondo gli esperti, un unicum nella storia dell’arte nubiana.
Fondata come fortezza, Dongola (Tungul nell’antica lingua nubiana) fu tra il V e il XIV secolo la capitale del regno di Makuria, uno dei più importanti stati africani medievali. I primi scavi sul sito risalgono al 1964, anche allora effettuati da una missione polacca. La ricerca, avviata dal Prof. Kazimierz Michałowski, è stata sempre molto feconda e ha fornito praticamente ogni anno risultati definiti dagli esperti “straordinari”. Non fa eccezione l’ultima campagna, parte del progetto denominato “UMMA – Urban Metamorphosis of the community of a Medieval African capital city”, condotto con il finanziamento dell’European Research Council da un team di ricerca guidato da Artur Obłuski del PCMA UW. Durante gli scavi, gli archeologi Lorenzo de Lellis e Maciej Wyżgoł si sono imbattuti inaspettatamente in un misterioso complesso di stanze edificate con mattoni essiccati al sole, all’interno delle quali si celavano una serie di pitture straordinarie, definite “uniche” nel panorama dell’arte cristiana.
La scoperta, si legge nel comunicato diffuso dall’ente di ricerca polacco, è avvenuta durante l’esplorazione di alcuni edifici risalenti al periodo Funj (XVI-XIX secolo d.C.). Con grande sorpresa dei ricercatori, sotto il pavimento di uno di essi si celava un’apertura che conduceva a una piccola camera, le cui pareti erano interamente decorate con rappresentazioni – definite “uniche” – della Vergine Maria e di Cristo; un’altra scena raffigurava invece un re nubiano con Cristo e l’Arcangelo Michele. Quest’ultima in particolare, hanno subito notato gli studiosi, si presentava in maniera estremamente originale: il re infatti è raffigurato mentre si inchina a Cristo seduto tra le nuvole, e gli bacia la mano; il sovrano è inoltre sostenuto dall’Arcangelo Michele, le cui ali spiegate proteggono sia lui che Gesù, secondo un‘iconografia che non trova finora confronti nella pittura nubiana. “Il dinamismo e l’intimità di questa rappresentazione – commentano gli studiosi – contrasta con la natura ieratica delle figure presenti invece sulle pareti laterali degli edifici”. Anche la figura della Vergine, che si trova sulla parete nord, appare decisamente inconsueta rispetto ad altre raffigurazioni di Maria presenti nell’arte nubiana. La Madre di Dio, in posa ieratica, indossa abiti scuri e regge in mano una croce e un libro. Sulla parete opposta appare Cristo, con la mano destra atteggiata in un gesto benedicente mentre con la sinistra regge un libro: un affresco che purtroppo non si conservato in maniera completa.

Alcuni dei dipinti sono accompagnati da iscrizioni. Il loro studio è stato affidato ad Agata Deptuła, ricercatrice del PCMA UW, ma si sta rivelando più ostico del previsto. Se la lettura preliminare delle scritte in greco ha consentito di identificarle come testi liturgici, il testo in antico nubiano che accompagna la scena principale è molto più difficile da decifrare. La prima lettura realizzata da Vincent van Gerven Oei sembra aver individuato diverse menzioni di un re di nome “David” e una supplica a Dio per la protezione della città, probabilmente la stessa Dongola. Il sovrano in questione potrebbe essere David, uno degli ultimi re della Makuria cristiana: la storia ci dice che per motivi ancora sconosciuti all’inizio del Trecento attaccò l’Egitto, ricevendo per tutta risposta l’invasione della Nubia che si concluse con il saccheggio di Dongola, il primo della sua storia. Il dipinto, ipotizzano gli studiosi, potrebbe essere stato realizzato in quel frangente, mentre l’esercito mamelucco si stava avvicinando alla città o la stava già assediando.

Il mistero più grande, però, si cela nel complesso di stanze in cui sono stati trovati i dipinti. Difficile per ora stabilirne l’esatta natura. “Gli spazi, coperti da volte e cupole e realizzati con mattoni essiccati, sono piuttosto piccoli”, affermano gli archeologi del PCMA UW. “La stanza affrescata con la scena del re David assomiglia ad una cripta, ma si trova a 7 metri sopra il livello medievale”. Nelle immediate adiacenze si trova un edificio sacro, già in passato identificato come la “Grande Chiesa di Gesù”: si tratta probabilmente della cattedrale di Dongola, la chiesa più importante del regno di Makuria. “Le fonti arabe che riportano l’attacco di David all’Egitto e la presa del porto di Aidhab e Assuan – ipotizzano gli studiosi – sostengono che l’atto sia avvenuto su istigazione della Grande Chiesa di Gesù. Forse l’arcivescovo di Dongola incitò il re a intraprendere una crociata, come fece papa Urbano II in Occidente?”.

La risposta a queste e ad altre domande potrà forse giungere dai prossimi scavi. L’obiettivo, per ora, è quello di “preservare queste pitture murali, davvero uniche”. Subito dopo la scoperta, i restauratori si sono messi all’opera sotto la direzione di Magdalena Skarżyńska costituendo un team che prevede la collaborazione tra lo stesso PCMA UW e il Dipartimento di conservazione e restauro dell’Accademia di Belle Arti di Varsavia. “Lavorare in uno spazio così ristretto, pressati dal trascorrere del tempo e con le alte temperature tipiche di marzo in Sudan è stato estremamente impegnativo”, commentano i restauratori. “In alcuni punti le pitture erano rovinate, ma in genere lo strato dipinto era fortunatamente ben conservato”. Maggiori informazioni sulla natura e le funzioni dell’edificio appena scoperto potranno essere svelate, si spera, in autunno, quando gli archeologi del PCMA UW torneranno al lavoro a Dongola.
Fonte: PCMA UW – Centro Polacco di Archeologia Mediterranea, Università di Varsavia
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