Il bratteato d’oro con l’iscrizione di Odino. Foto: Arnold Mikkelsen, The National Museum of Denmark.

SCOPERTE / Ecco l’“uomo di Odino”: la più antica menzione del dio nordico è su un bratteato del Tesoro di Vindelev

Due studiosi hanno individuato l’iscrizione, in alfabeto runico, più antica del mondo relativa a Odino, dio nordico della guerra: è su un bratteato dorato del tesoro di Vindelev, scoperto un anno e mezzo fa in Danimarca. La scoperta retrodata le prime attestazioni del suo culto al V secolo, 150 anni prima di quanto si pensava finora


Il bratteato d’oro con l’iscrizione di Odino. Foto: Arnold Mikkelsen, The National Museum of Denmark.
Il bratteato d’oro con l’iscrizione di Odino. Foto: Arnold Mikkelsen, Museo Nazionale di Danimarca.

Ancora grandi sorprese da Vindelev, la località della Danimarca non lontana da Jelling dove un anno e mezzo fa è stata scoperta una straordinaria collezione di bratteati aurei risalenti al V secolo (ne avevo parlato in un ampio articolo sul prestigioso mensile Archeo n.440, ottobre 2021, ripercorrendo la storia del ritrovamento e spiegando sua complessa interpretazione). Esaminando con cura uno degli spettacolari monili, sottili dischi d’oro ornamentali a imitazione delle monete romane e bizantine, Lisbeth Imer, esperta di scrittura runica del Museo Nazionale di Danimarca, e il collega Krister Vasshus, studioso di lingue scandinave antiche, hanno notato la presenza, accanto al ritratto di un personaggio maschile a cavallo, di una frase in lettere runiche: iʀ Wōd[i]nas weraʀ, letteralmente “Egli (è) l’uomo di Odino”. Una scoperta eccezionale, quella realizzata dai due esperti, per almeno due ragioni: si tratta dell’iscrizione più antica in assoluto che menziona il nome di Odino, dio della guerra, e di conseguenza retrodata le prime attestazioni relative al culto della principale divinità della mitologia norrena all’inizio del V secolo, ben un secolo e mezzo prima rispetto a quanto ritenuto finora.

Krister Vasshus (a sinistra) e Lisbeth Imer (a destra), i due studiosi autori della scoperta. Foto: John Fhær Engedal Nissen

Fino ad oggi, la più antica iscrizione recante il nome di Odino era infatti su una spilla tornata alla luce a Nordendorf, nella Germania meridionale, databile alla seconda metà del VI secolo. Per quanto concerne la Danimarca, la prima attestazione consisteva in un amuleto ricavato lavorando una porzione di cranio, ritrovato a Ribe e risalente all’inizio dell’VIII secolo.

La copertina di “Archeo” su cui era stato pubblicato il mio ampio articolo sul ritrovamento del Tesoro.

L’iscrizione runica di Vindelev, ha spiegato Imer, è stata ardua da decifrare – “la più difficile che abbia mai dovuto interpretare”, racconta la studiosa danese – perché la superficie del bratteato risulta consumata e in diversi punti le rune risultavano ormai quasi del tutto scomparse. Il testo “scritto senza spazi tra le parole”, ha aggiunto Vasshus, “era composto quasi interamente da parole nuove”. Le problematiche non hanno però scoraggiato i due esperti, i quali mettendo a frutto la loro esperienza nei rispettivi campi sono riusciti alla fine a portare a termine l’impresa: un successo, ci tengono a sottolineare, che potrà aiutare a comprendere anche altre iscrizioni runiche finora rimaste avvolte dal mistero, a cominciare da quelle presenti su altre brattee.

Misteri risolti?

Ad oggi i reperti di questo genere trovati nel Nord Europa sono circa un migliaio, più di 200 dei quali presentano scritte che, nella grande maggioranza dei casi, non sembrano avere senso: spesso si tratta di brevi parole che potrebbero avere carattere sacro, altre volte di copie distorte o deformate di iscrizioni precedenti che in passato avevano un significato oggi apparentemente impossibile da ricostruire. Ed ecco un’altra ragione per cui la decifrazione del “medaglione dell’uomo di Odino” potrebbe risultare cruciale. Del tesoro di Vindelev faceva parte anche un altro bratteato molto simile a questo e corredato anch’esso da un’iscrizione, ma purtroppo illeggibile in quanto mal eseguita: oltre ad essere meno distinte di per sé, le lettere sembravano incise da qualcuno dotato di una conoscenza piuttosto limitata dell’alfabeto runico. Questo secondo bratteato possiede a sua volta un “gemello” quasi identico, un esemplare rinvenuto nel 1852 a Bolbro alla periferia di Odense: rimasto nelle collezioni del Museo Nazionale di Danimarca per 170 anni, nessuno era mai riuscito a decifrarlo fino ad ora. Nuova luce è stata gettata anche su un terzo monile appartenente al tesoro di Vindelev, anche in questo caso caratterizzato da un “gemello” ritrovato a Funen nel 1689. L’iscrizione runica, in questo caso, era sempre stata letta “L’Alto”, uno degli epiteti tradizionalmente riferiti a Odino. Confrontando l’esemplare di Funen con quello di Vindelev, le cui lettere appaiono tracciate in maniera molto più chiara e nitida, Lisbeth Imer e Krister Vasshus hanno potuto proporre una nuova lettura dell’iscrizione: non più “L’Alto” ma “L’Amato”, e non più riferito al dio ma al cavaliere ritratto sul bratteato stesso, oppure al suo cavallo.

Chi era l’“uomo di Odino”?

I tanti reperti che compongono il tesoro di Vindelev, compreso il bratteato con l’iscrizione di Odino, sono esposti al Museo Nazionale di Danimarca. Foto: Joakim Züger, Museo Nazionale di Danimarca

La scoperta dei bratteati di Vindelev fornisce dunque numerosi spunti per una reinterpretazione dell’iconografia delle divinità norrene e, più in generale, per una rilettura della storia della Danimarca in questi secoli a tratti ancora oscuri. Se già da oltre un secolo e mezzo i ricercatori dibattono sull’esatta identificazione delle figure maschili che compaiono sui bratteati, e in particolare discutono se esse siano o no da considerare una rappresentazione di Odino, in questo specifico caso ciò sembrerebbe da escludere. La scritta “l’uomo di Odino” è infatti accompagnata da un altro nome, “Jaga” o “Jagaz”, probabilmente un re o un signore il cui appellativo (o soprannome) risulta sconosciuto alle fonti.

Ma se per ora è impossibile stabilirne l’identità precisa, una cosa sembra certa: a giudicare dalla ricchezza, dalla dimensione e dalla quantità di bratteati del tesoro di Vindelev, realizzati con oro importato dal Mediterraneo, doveva trattarsi di un personaggio di assoluto spicco nel panorama del tempo. La sua influenza si estendeva dalla Danimarca all’Europa centro-settentrionale, come dimostrano i tanti esemplari di bratteati simili (e in certi casi, come detto, addirittura identici) ritrovati a Funen, nello Jutland, in Germania e in Polonia. Ritratto di profilo allo stesso modo degli imperatori nei medaglioni romani – prestigioso modello iconografico per questo tipo di oggetti -, il misterioso “Jaga” o “Jagaz” intendeva rimarcare la propria legittimazione al governo rivendicando la sua autorità come derivante direttamente dal dio della guerra, venerato dalla comunità come divinità suprema. E con ogni probabilità indossava i bratteati d’oro appesi al collo con una catenella, per ostentare pubblicamente il proprio potere.

Insieme al resto del tesoro di Vindelev, lo straordinario bratteato con l’iscrizione odinica più antica del mondo è ora esposto nella mostra “Jagten på danmarkshistorien” (Caccia alla storia della Danimarca”), in corso fino al 4 febbraio 2024 nel Museo Nazionale di Danimarca.

©STORIE & ARCHEOSTORIE. RIPRODUZIONE RISERVATA.

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