APPROFONDIMENTI / Empona e Giulio Sabino: inganno, amore e… un pezzo di sapone

di Massimiliano Visalberghi Wieselberger (*)

La lettura e lo studio della storia ci presenta spesso diversi episodi molto importanti per comprenderne la fenomenologia, in un continuo fluire di azioni politiche, militari, riforme economiche e sociali. Ma tra le pieghe di questo “tessuto storico ” si possono trovare anche interessanti aneddoti che fanno capolino all’interno di trame più grandi. Piccoli episodi, dunque, ma la cui importanza è data proprio dal poter svelare, in scenari fondamentali, anche la componente “umana” rappresentata dall’aspetto “sentimentale” di alcuni dei suoi protagonisti. A volte si tratta di personaggi che travalicano l’importanza dell’analisi storiografica per suscitare nel lettore un legame empatico attraverso l’immedesimazione. Questo è il caso di Giulio Sabino e soprattutto della sua compagna Empona, che tra poco conosceremo.

Lo scenario: 69-70 d.C., la Rivolta Batava.

Durante il cosiddetto “anno dei quattro imperatori”  ebbe luogo un interessante episodio. La Germania Inferior fu teatro di una ribellione iniziata dagli ausiliari batavi  che dilagò presso altri popoli germanici, resi intolleranti da condizioni di vita, obblighi e tassazioni gravose imposti dall’Urbe, approfittando del momento storico di confusione che nelle province probabilmente venne percepito come una sorta di “crollo dell’Impero”.

In questo scenario spiccano due figure. La prima è Giulio Civile, un principe Batavo al comando dei propri guerrieri incorporati come ausiliari dell’esecito romano, i quali rappresentavano una delle forze etniche e specializzate, alla base della capacità di elasticità tattica delle legioni. La seconda è Veleda, la temibile sacerdotessa dei Germani, il cui carisma porto’ diversi popoli a coalizzarsi per combattere l’invasore romano.

Ci sono poi anche altre figure di contorno, non meno accattivanti, dai risvolti forse meno “epici” ma assai più umani. Tra di esse, merita di essere presentato Giulio Sabino, conosciuto per aver preso parte alla rivolta batava indotta dal comandante Giulio Civile, a partire dal 70 d.C. Giulio Sabino era un capo dei Lingoni, un popolo gallico, nell’odierna zona di Langres e Dijon. Ci viene presentato come motivato alla ribellione, certo, ma più per ambizione, che per “slancio patriottico”, almeno così pare di comprendere dalle parole dello storico romano Tacito, che lascia intendere come la sua ambizione fosse corroborata da una  pretesa discendenza da Giulio Cesare (Tacito, Historiae, IV, 55; 67).  Difficile comprendere se Sabino si ritenesse (o fosse) tale,  o se questa dichiarata discendenza fosse solo un espediente tattico  per ottenere più attenzione e seguaci. Sia come sia, egli approfittò della rivolta batava mossa da Giulio Civile (69-70 d.C) e si unì al comandante treviro Giulio Classico (70 d.C). Da quanto pare emergere, lo scopo di Sabino, più che di aderire ad una rivolta gallo-germanica in nome della libertà dal giogo romano, fu  improntato a creare una Gallia indipendente da Roma, quasi una nazione autonoma, sebbene sempre su modello romano.

Mappa delle Gallie, con evidenziata la zona dei popoli di Lingoni, Treveri e Remi

A tal fine egli tentò di sobillare anche altri due popoli limitrofi: i Sequani ed i Remi. Sfortuna vuole che questi popoli delle Gallie in buona parte avessero accettato oramai la loro situazione di cittadinanza romana e  fossero più cauti nelle loro scelte prendendole a seconda della convenienza politica ed economica.  Allora Sabino, inviperito per il loro rifiuto, attaccò i Sequani.
Era un uomo conosciuto per stato e rango, per cui raccolse un numeroso corpo di guerrieri, specialmente Lingoni. Quest’ultimi erano sì combattenti ma delle truppe “irregolari”, non facevano parte di un esercito organizzato come quello formato dalle legioni romane che invece li affrontarono venendo in aiuto ai Sequani. Le truppe di Sabino furono puntualmente sconfitte; egli si rifugiò in una delle sue proprietà terriere,  congedò i servi avvisandoli della sua intenzione di togliersi la vita, ma invece attuò il suo piano. “Nascostosi nei sotterranei, con un paio di persone a lui fedeli, dov’erano i magazzini e la cantina, diede fuoco alla villa, facendosi credere morto nell’incendio.  Non mancando pero’ di avvisare la moglie, facendole pervenire una dichiarazione delle sue intenzioni, attraverso un suo uomo fidato, un certo Marziale” (Plutarco, Amatorius). Si creò in tal modo un alibi, ma certo non si aspettava la reazione della sua compagna.

La moglie , di nome Epponina (Tacito, Historiae IV, 67) o Empona (Plutarco, Amatorius, 25; Dione, 66, 16, 2) per tre giorni e tre notti pianse per la decisione del marito, rifiutando persino di mangiare. Al che Sabino, più che per l’alibi, cominciò a temere che la “migliore delle mogli” (Plutarco, Amatorius) si suicidasse, convinta di seguire l’esempio del marito. Allora inviò nuovamente Marziale per avvisarla questa volta che si trattava di una messinscena, chiedendole però di continuare a fingersi addolorata. Questa donna gallica, plausibilmente anche lei appartenente alla tribù dei Lingoni, amorevole compagna, si rende dunque protagonista di un raro esempio di devozione e virtù.  E’ capace di andare a vivere nei sotterranei, per amore del marito, e di condividere la sua sorte partorendogli in questo perodo due figli (Plutarco menziona di averne conosciuto uno).

Dettaglio dei cosiddetti “Amanti di Bordeaux” opera fittile gallo-romana

Plutarco racconta  il modo in cui Empona riesce a nascondere il fatto di essere incinta alle altre donne: “C’è un unguento che le donne si strofinano sui capelli per renderli biondi o rossi; contiene del grasso che riempie o gonfia la pelle e produce una sorta di dilatazione o gonfiore. (Empona) spalmò questo unguento in abbondanza, su tutte le altre parti del suo corpo eccetto l’addome, nascondendo così le sue dimensioni mentre si gonfiava e si riempiva” (Plutarco, Amatorius).  Un dettaglio che ci riporta alla famosa descrizione del “sapo gallicus” , il sapone,  come fu descritto da Plinio (XXVIII, 191) e suggerito da Marziale (VIII, 33). Si trattava di un preparato che aveva sia la proprietà di mondare dallo sporco  che di tingere ed era usato sia da Galli che Germani, uomini e donne; era anche noto come “spuma batava”.

Ma continuiamo a seguire l’amorevole Empona. La sua “doppia vita”  – vedova di giorno, sposina di notte –  dura per ben 9 anni. Vi è l’accenno di un tentativo da parte di Empona di ottenere il perdono a Roma, viaggiando fino alla capitale, con il marito  travestito. Tentativo purtroppo fallito.  Alla fine l’inganno viene scoperto: Sabino ed Empona vengono catturati e portati a Roma.

Dettaglio di Trophaeum, Ostia antica.Purtroppo la descrizione dell’episodio della loro cattura non si è pervenuto, ma sappiamo da Plutarco il seguito degli eventi. I due vengono portati di fronte all’imperatore Vespasiano assieme ai loro figli  per essere condannati, ma Empona si presenta all’imperatore in maniera ingegnosa insieme alla sua famiglia: “Aveva allevato quei figli per presentarsi, con loro, al cospetto del loro sovrano, così da rimettersi alla sua clemenza” (Plutarco, Amatorius). L’effetto emotivo fu grande:  Dione ci riporta che Vespasiano pianse, assieme alla corte, tuttavia non cambiò l’estremo verdetto. Al che Empona, con la fierezza della sua gente, sfidò lo stesso imperatore di fronte alla morte esclamando “che era stata meglio la sua vita nell’Ade (i sotterranei), vissuta con amore, che quella di Vespasiano, condotta tra gli agi, come imperatore”.


Plutarco deve amare molto questi personaggi femminili,  “barbarici” e sprezzanti della morte.  Una simile fermezza, degna di uno stoico, è dimostrata anche dalla regina galata Camma, che, per amore, segue il marito nella morte dopo aver bevuto la stessa coppa avvelenata offerta all’usurpatore che lo aveva assassinato (Plutarco, De Mulierum Virtutibus, Moralia, 768A).

Empona e Sabino escono dalla Storia come eroi e come esempio di amore, lealtà e virtù. E Vespasiano  ci fa la parte del severo meneghino, parzialmente oscurato  dalla coppia, per la sua durezza di carattere,  e gli Dei non perdonarono questa scelleratezza.. (Plutarco Amatorius).

IL CONTESTO STORICO 
E ora una piccola analisi attraverso il personaggio di Giulio Sabino, per una rilettura in chiave politica.  Giulio Sabino viene presentato da Tacito come un uomo ambizioso, forse persino vanaglorioso. Prende parte alla ribellione batava, pur non appartenendo a quel popolo, per scopi personali. Egli “millanta” addirittura una discendenza da Cesare, asserendo che la sua bisnonna fosse stata scelta come amante dal grande condottiero romano. Ma forse il contesto potrebbe essere interpretato da un’altra prospettiva. La ribellione di Sabino, certamente, si poggia su basi e interessi completamente diversi da quelli dei Batavi a cominciare dalla situazione etnica e culturale.  Sabino era infatti appartenente ai Galli Lingoni, come Giulio Classico e Giulio Tutore, invece, erano Treviri. Vivevano in una società assai diversa rispetto a quella germanica, per quanto vi fossero diversi punti di contatto.

Stele funeraria di Imerix, cavaliere batavo.

Ma mentre i Batavi, come altre genti germaniche del periodo, avevano mantenuto il loro carattere tribale, i Treviri e Lingoni, invece, erano oramai romanizzati. I Galli romanizzati invece, volevano avviare un impero, o forse, una regione confederata, tutto loro.

Figure gallo-romane da Ingelheim zona del Reno. Sincretismo dei costumi

La loro ribellione era dunque un segno evidente della loro presa di coscienza come realtà etno-culturale, con uno stile di vita romano. Come allude Tacito, se il vero impero fosse caduto, avrebbero iniziato a imperare per conto loro, continuando la tradizione e la cultura che avevano abbracciato.  Sabino divenne il quindi un capo delle Gallie, o forse un usurpatore imperiale; in questo caso, sarebbe da considerarsi il quinto imperatore nel mondo romano in soli tredici mesi.

Le motivazioni dei ribelli erano quindi  differenti.  La loro cooperazione, tutto sommato, risulta un “patto dei lupi”: un coinvolgimento reciproco, funzionale, per entrambe le fazioni di ribelli.
Galliche e Germaniche. Leggendo la figura di Sabino in quest’ottica, dunque, egli non apparirebbe più  come un “capetto dal profilo ambizioso”, il quale approfitta del momento storico vantaggioso, per “meri” interessi personali, bensì un leader che vuole emergere, certo, ma non trascurando gli interessi del suo popolo. E per far questo, richiede l’attenzione e partecipazione di altri popoli gallici, i cui interessi potevano coincidere. Non a caso Tacito ci presenta una situazione che vede i popoli dei Remi, Sequani e Lingoni ritrovarsi radunati per decidere se prendere parte o meno alla rivolta: “A poco a poco le comunità iniziarono a recuperare i loro sensi e onorare i loro obblighi e trattati. In questa occasione i Remi presero l’iniziativa, invitando gli altri popoli ad una conferenza, in cui si dovesse stabilire se volevano l’indipendenza o la pace” (Tacito, Historiae). Specie dopo la reazione romana nei confronti dei ribelli Lingoni, sconfitti: “Nella guerra condotta sotto l’egida dell’imperatore e iniziata da Giulio Civile in Gallia, la ricca città dei Lingoni, che si era rivolta a Civile, temeva che sarebbe stata saccheggiata dall’esercito in avvicinamento di Cesare. Ma quando, contrariamente alle aspettative, gli abitanti rimasero incolumi e non persero alcuna proprietà, tornarono alla loro lealtà e consegnarono settantamila uomini armati.  (Frontino, Stratagemmata, IV, 3).

Dopo la sconfitta di Sabino e dei Lingoni, ad opera delle forze congiunte di Sequani e delle legioni di Appio Annio Gallo (Legio I Germanica, Legio VIII Augusta e Legio XI Claudia) , Vespasiano risparmia le loro città, ma ritira la cittadinanza romana ai Lingoni: il loro stato di “civitas” passa da colonia romana, a quello di colonia latina e ricevono l’obbligo di consegnare 70.000 guerrieri, come soldati, sotto la diretta supervisione delle legioni (come la Legio VIII Augusta, acquartierata a Mirebellum).

Ecco anche la motivazione della conferenza indetta dai Remi, quasi una proto-confederazione che valuta pro e contro nel caso di un coinvolgimento, ragionando come popoli oramai romanizzati al punto tale che, ultimamente, diversi studiosi hanno cominciato a guardare a questo processo culturale definendolo ad un certo grado come “auto-romanizzazione”:  diversi popoli gallici “scelsero” dunque di assumere elementi ed aspetti culturali romani, per la loro intrinseca valenza. In ambito sociale, economico e politico. A ciò  segue lo sviluppo di una cultura sincretica, denominata appunto “gallo-romana”.  L’archeologia in questo caso ha potuto dimostrare l’esistenza di comunità dal forte carattere romanizzato, senza tracce evidenti di scontri  con Roma dopo Augusto.  In questa rilettura, la rivolta degli Aedui di Giulio Sacroviro ed i Treveri di Giulio Floro, del 21 d.C. (Tacito, Annales, III) sarebbe da intrepretare non come un tentativo di liberarsi della presenza romana per ritornare alla propria identità culturale gallica, ma un modo per separarsi politicamente  dal controllo romano, acquisendo lo status di entità politica a parte. In questo atteggiamento si può riscontrare un certo  parallelismo tra quel che accadde, anche in altre realtà, tra colonie e madre patria fondatrice: il presentarsi di uno spirito di emancipazione allorquando la colonia ha raggiunto una maturità tale da non sentire più la necessità del “vincolo materno”.  La provincia della Gallia denota, in questo senso, una continuità di episodi e tentativi che ne accompagnano tutta la storia fino al crollo dell ‘Impero romano Occidentale, e come accade anche per la provincia “britannica”.

Un’ultima nota a proposito dei nomi dei nostri protagonisti.  La numerosa presenza del nome  “Julius”  tra genti romanizzate o forze ausiliarie non deve stupire  perché si tarttava di nomi legati a figure carismatiche e giudicate di spicco, proprio come accade oggi con nomi di ispirazione letteraria, musicale o cinematografica. E “Giulio” – o “Julius” –  richiama  Cesare  ed la dinastia da lui iniziata.  Nei reparti ausiliari, la scelta di nomi romani testimoniava una sorta di “adozione” da parte di Confederati e Ausiliari, a cui venivano attribuiti i nomi di comandanti, ed i loro soprannomi. “Julius Sabinus” è appunto uno di questi.

Quanto a “Empona”, gli autori come detto riportano due varianti onomastiche per il personaggio femminile illustrato in questo articolo:

    • Eponinna: la cui radice è da collegare a  Epona, divinità legata al culto dei cavalli, come ben evidenziato dalla radice “ep”, esempio di passaggio tra il Gallico P e da confrontare con la radice “ekw” del Gallico Kw che si avvicina al latino  nel termine “equus” (cavallo).
    • Empona: Plutarco attribuisce a questo nome il significato di ”coraggiosa, nobile”.

Risulta più plausibile che l’autore greco abbia storpiato il nome, e che quindi la versione più attendibile sia quella riportata da Tacito.

BIBLIOGRAFIA

  • Fonti storiche:
    – Caesar, De bello Gallico
    – Caesar, De bello Civile
    – Dione Cassius, Historia Romana
    – Frontinus, Stratagemmata, IV, III-14.
    – Martialis, Epigrammata
    – Plinius, Nauralis Historia
    – Plutarcus, Amatorius
    – Plutarcus, De Mulierum Virtutibus, Moralia
    – Strabone, Geografia
    – Suetonius, Vitae Caesarum
    – Tacitus, Annales
    – Tacitus, Germania
    – Tacitus, Historiae
  • Studi moderni:
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    – Roymans, N., 2004. Ethnic Identity and Imperial Power. The Batavian in Early Roman Empire. Amsterdam University Press.

(*) Massimiliano Visalberghi Wieselberger  è un archeologo e disegnatore archeologico che ha collaborato in scavi con varie Soprintendenze e Università.  Svolge per conto della UISP il ruolo di tecnico educatore culturale ed archeologico  tenendo laboratori, lezioni didattiche e conferenze sulle tipologie di archi tra Oriente e d Occidente, dalla Preistoria al Medioevo.  E’ consulente archeologico per alcune Associazioni di rievocazione e/o archeologia sperimentale. per cui prepara e sostiene didattiche collaborative, in nome della cooperazione culturale.

Pubblica su Academia.edu e per la rivista online Antrocom: Journal of Anthropology. Da quasi 10 anni è attivo nella divulgazione culturale su Facebook con lo pseudonimo “Max Berger” attraverso la diffusione di articoli, album fotografici con materiali archeologici e link di libri a tema storico-archeologico e antropologico.  Il suo motto è “Mai abbastanza”.

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