di Elena Percivaldi*
(pubblicato in contemporanea su Vi racconto una Storia…)
La città di Vercelli racconta il “suo” Medioevo con un’interessante esposizione che raccoglie 42 oggetti iconici e altamente rappresentativi, alcuni dei quali molto noti, altri invece quasi sconosciuti. La mostra, intitolata “I segreti della Vercelli medievale”, ha inaugurato il 30 ottobre 2020 presso l’Arca (ex chiesa di San Marco) e resterà aperta al pubblico fino al 6 gennaio 2021.

Tra i preziosi reperti esposti che raccontano la città e il territorio dal IX al XIV secolo ce n’è uno in particolare che mi sta particolarmente a cuore. Si tratta del Vercelli Book, un codice pergamenaceo conservato nel Museo del Tesoro del Duomo e Archivio Capitolare di Vercelli insieme ad altri manoscritti datati tra il IV e il XV secolo (per non parlare di vari capolavori dell’arte medievale).

Il codice risale alla fine del X secolo ed è interamente scritto in lingua anglosassone, l’idioma parlato nelle isole britanniche nell’alto Medioevo. A lui e, in genere, al retaggio medievale di Vercelli, poco conosciuto purtroppo ai più, ho dedicato ampio spazio all’interno del mio libro “Alla scoperta dei luoghi segreti del Medioevo”, scritto a quattro mani con Mario Galloni (il saggio è uscito nel 2018 per Newton Compton: dettagli qui). Approfittando della mostra, ho quindi deciso di dedicare al tema una lunga parentesi anche in questa sede.
Come scrivo nel saggio, la peculiarità del Vercelli Book è data dal fatto che è una delle più antiche testimonianze della produzione poetica in antico inglese. Le altre sono rappresentate da tre codici coevi conservati nel Regno Unito (il Codex Exoniensis della Cathedral Chapter Library di Exeter, il Cotton Vitellius della British Library di Londra e lo Junius XI della Bodleian Library di Oxford). Da solo, il Vercelli Book contiene 6 componimenti e 23 omelie in lingua anglosassone, di cui ben 11 uniche (ossia conservatesi solo grazie a questo esemplare). Ma come mai il codice si trova nella cittadina piemontese? Le ipotesi sono varie e le sintetizzo nel libro:
Potrebbe essere stato trasportato, tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo, da qualche chierico insulare di rango che si trovò a sostare, percorrendo la via Francigena, proprio a Vercelli, magari presso l’Ospedale di Santa Brigida detto degli Scoti (irlandesi) che accoglieva i pellegrini provenienti dalle isole britanniche. E’ anche possibile che sia stato lasciato dall’arcivescovo di Canterbury Sigerico, che nel 990 compì un pellegrinaggio fino a Roma: la sua relazione di viaggio, in cui annota le tappe compiute in occasione del rientro, contiene alla Mansio XLIII il nome Vercel, ossia Vercelli. Secondo altre ipotesi, il manoscritto potrebbe aver fatto parte del tesoro consegnato dal vescovo Ulf di Dorchester ai prelati durante il Concilio tenutosi a Vercelli nel 1050, come pegno per poter continuare a svolgere il suo incarico pastorale, scagionandosi dall’accusa di non svolgere correttamente la sua missione.

In ogni caso, la lingua in cui il Vercelli Book era scritto, incomprensibile per i chierici locali, dovette decretarne ben presto l’oblio, il che tutto sommato fu un bene: finito in un angolo e dimenticato, ha potuto conservarsi integro per secoli, scampando alla raschiatura che lo avrebbe reso riutilizzabile – la pergamena costava! – a contenere un testo più utile e funzionale ai canonici vercellesi. D’altra parte nemmeno gli eruditi che tra Sei e Settecento si trovarono a maneggiarlo ne capirono il contenuto, come racconto sempre nel volume:
Il canonico Giovanni Francesco Leone, ad esempio, lo definì “Liber Gothicus, sive Longobardus”, aggiungendo la laconica constatazione “eo legere non valeo”, ossia “non riesco a leggerlo” (ma si avvicinò al vero in quanto il goto e il longobardo, come l’anglosassone, sono antiche lingue germaniche). Anche il paleografo Giuseppe Bianchini, nel 1748, non trovò di meglio che bollarlo come “Liber ignotae linguae” (libro scritto in lingua sconosciuta) e lo mise da parte, tant’è che ancora oggi sul dorso di legge l’annotazione settecentesca “Homiliarum liber ignoti idiomatis”, libro di omelie in lingua ignota. Per essere decifrato, il manoscritto vercellese dovette attendere sugli scaffali della Biblioteca fino al 1822, quando finalmente lo studioso tedesco Friedrich Blume, che si trovava in città per esaminare alcuni manoscritti medievali di argomento giuridico, si accorse del rarissimo tesoro che aveva di fronte.
Il resto della storia è nota, tanto che il Vercelli Book, complici anche mostre internazionali come Anglo-Saxon kingdoms. Art, word, war alla British Library di Londra (ne abbiamo parlato qui), è diventato una superstar. Chi non può recarsi di persona a Vercelli per vedere l’attuale esposizione può comunque ammirare il prezioso manoscritto online, completamente digitalizzato (qui il link).
Consiglio però vivamente di tenere d’occhio le tante attività organizzate periodicamente dal Museo del Tesoro del Duomo e Archivio Capitolare, diretto da Timoty Leonardi e dal suo preparatissimo staff, e di partecipare alle tante visite guidate, ai workshop e alle letture tematiche, alcune delle quali hanno come oggetto proprio i manoscritti e anche il Vercelli Book.

Personalmente, ho avuto l’onore di visitare il Museo nel 2019 in occasione della bellissima mostra “La Magna Charta. Guala Bicchieri e il suo lascito. L’Europa a Vercelli nel Duecento” allestita anche in quel caso presso l’ARCA, che esponeva una delle copie della Magna Charta Libertatum, il celebre documento concesso dal re d’Inghilterra Giovanni Senzaterra ai suoi baroni il 15 giugno 1215, riconoscendo per la prima volta che nessuno, nemmeno il sovrano, è al di sopra della legge. Ragione dell’evento è che alla revisione del 1216 della Charta era presente il cardinale vercellese Guala Bicchieri, diplomatico e figura di spicco del Medioevo europeo, nonché fondatore in città dell’Abbazia di Sant’Andrea (della sua figura abbiamo parlato qui in occasione dell’esposizione allestita nel Palazzo Madama di Torino che ruotava attorno al suo celebre scrigno).
Il Museo del Tesoro del Duomo e Archivio Capitolare vercellese custodisce anche vari capolavori artistici medievali e non, a cominciare dal riempimento dello spettacolare Crocifisso ottoniano in lamina d’oro e argento commissionato dal vescovo Leone di Vercelli tra il 999 e il 1024 come segno di rinascita dopo la distruzione del duomo (correva l’anno 997) da parte del marchese Arduino d’Ivrea.

Il Crocifisso fu venerato per secoli nel Duomo dai pellegrini, che restavano profondamente colpiti e suggestionati dall’aspetto sofferente ma ieratico e trionfante del Salvatore. Non così gli ignoti vandali che lo danneggiarono gravemente la notte dell’11 ottobre 1983, rendendo necessario un lungo e laboriosissimo lavoro di restauro. Oggi il Crocifisso si staglia nuovamente al centro della navata maggiore della Cattedrale, ma il suo originale riempimento in legno, cocciopesto, colofonia e cera d’api è stato musealizzato e si conserva – appunto – nella prima sala del Museo del Tesoro del Duomo.
Altro pezzo straordinario è l’originale e unico “Mappamondo di Vercelli”, datato tra 1250 e 1280: un reperto rarissimo e di estrema importanza di cui ho parlato sulla rivista BBC History Italia e di cui tratterò a breve anche qui su questo blog. Ho avuto l’onore di accompagnare il pubblico, insieme allo staff del Museo, ad ammirarlo (insieme alla copia di un altro celebre mappamondo, quello di Hereford, presente in quei giorni al Museo) in occasione della visita tematica seguita alla mia conferenza Dalla terra al cielo: geografia, astronomia e fantasia, una delle iniziative collaterali alla mostra Il Mappamondo di Vercelli e le donazioni dei canonici nel XIII secolo, organizzate in concomitanza con l’esposizione sulla Magna Charta. Ed è stata un’esperienza davvero indimenticabile (qui sotto alcune foto dell’evento).





Tornando all’attuale mostra in corso, concludo aggiungendo che alla sua realizzazione ha partecipato anche la Società Storica Vercellese (SSV) dando alle stampe il volume “Vercelli medievale” firmato dal noto storico Alessandro Barbero. Il libro è acquistabile presso il bookshop dell’ARCA, ma per maggiori informazioni contattate la Società Storica Vercellese (www.societastoricavc.it).
L’esposizione sarà visitabile gratuitamente solo su prenotazione (prenotazioni.vercelli@gmail.com, tel. 351 6221629), da martedì a domenica in orario 10-18, con l’eccezione del lunedì dell’Immacolata.
*©Elena Percivaldi ©TESTO E IMMAGINI PROTETTE DA COPYRIGHT. Tutti i diritti riservati / All rights reserved
(pubblicato in contemporanea su Vi racconto una Storia…)
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