Restaurato, dopo un lungo abbandono, il complesso di Santa Margherita di Treviso, semidistrutto dai bombardamenti del 1944. Nel chiostro medievale fu seppellito Pietro Alighieri, figlio di Dante. Completata con successo l’anastilosi, dal 5 dicembre la chiesa riapre come nuova sede della Collezione Salce.
di Elena Percivaldi

Il 7 aprile del 1944, in soli 7 minuti di azione, un bombardamento aereo alleato rase al suolo ampia parte di Treviso, provocando circa 1.600 vittime. Ad essere pesantemente colpito fu anche il complesso di Santa Margherita, eretta dai i Frati Eremitani tra il 1282 e il primo decennio del Trecento. L’ex chiesa subì danni molto seri ma peggio andò al grande chiostro del monastero: tre dei sui lati vennero polverizzati e il quarto, quello attiguo alla basilica, fu ridotto a un cumulo di macerie.
Da allora e progressivamente la chiesa, già gravemente provata dalla soppressione napoleonica del convento e dalla trasformazione della chiesa dapprima in fienile e poi in stalla, cavallerizza e persino palestra, cadde in un pietoso stato di abbandono fino a diventare un mesto guscio vuoto, pallido riflesso dello splendore di un tempo. Ma ora dopo un lungo restauro che ha coinvolto il chiostro, la chiesa di Santa Margherita ritrova, almeno in parte, la sua identità per diventare, dal prossimo 5 dicembre, la nuova sede del Museo Nazionale della Collezione Salce, uno dei più prestigiosi della città.

“Quel poco che era rimasto del lato del chiostro trecentesco è ora risorto dalle macerie”, annuncia il Direttore del Polo Museale Veneto, Daniele Ferrara. “I lavori finanziati da Mibact e Regione Veneto per la realizzazione del Nuovo Museo Nazionale Collezione Salce hanno consentito anche di recuperare le testimonianze originarie del chiostro e di farlo, almeno in parte, rinascere”.

La chiesa di Santa Margherita era, nel Medioevo, uno dei complessi religiosi più importanti di Treviso, come testimonia la presenza di importanti cicli di affreschi – come quello trecentesco delle Storie di Sant’Orsola, opera di Tomaso da Modena – e di sepolture illustri. Tra queste, la più nota è forse quella di Pietro Alighieri, figlio di Dante, che morì a Treviso il 21 aprile 1364 mentre si trovava a soggiornare in città. Dopo il funerale, celebrato nella basilica di Santa Margherita il 29 aprile, Pietro venne inumato in un monumento funebre realizzato dallo scultore veneziano Zilberto Santi su commissione di Fra Liberale e di Leonardo di Baldinaccio, monumento destinato ad essere collocato nel chiostro della chiesa. Il monumento fu gravemente compromesso dopo l’occupazione napoleonica del Veneto e la soppressione degli ordini religiosi, quando venne scomposto e rimosso. I canonici, tuttavia, riuscirono fortunatamente a salvare in parte la sepoltura di Pietro Alighieri occultandone le parti in un cortile tra il Duomo e la Biblioteca Capitolare. Finché nel 1935 questi lacerti non furono trasferiti all’interno della chiesa di San Francesco, da poco riaperta al culto, e ricomposti in “un’arca sospesa a parete” in fondo, sul lato sinistro della navata. Non lontano dalla lapide di Francesca Petrarca, seconda figlia del poeta autore del “Canzoniere”, che morì di parto.

Anche le Storie di sant’Orsola, affrescate tra il 1355 e il 1358 circa da Tomaso da Modena e una delle sue opere maggiori, furono miracolosamente salvate. La chiesa, già sconsacrata, era stata adibita a stalla e maneggio militare dall’esercito francese, il quale ne aveva decretato la distruzione. Tuttavia l’abate Luigi Bailo, erudito e fondatore del Museo Civico trevigiano, nel 1882-83 si accorse del tesoro presente sulle pareti di una delle cappelle e sfidando il piccone demolitore iniziò lo stacco degli affreschi aiutato solo da due giovani trevigiani, Antonio Carlini e Girolamo Botter. Trasferendo l’intonaco dipinto su telai lignei mobili, l’abate riuscì a portare l’intero ciclo di affreschi, insieme ad altre pitture, nel museo da lui ricavato in Borgo Cavour nell’ex convento dei Carmelitani scalzi, compiendo così un’impresa tanto straordinaria quanto pionieristica e temeraria.

La chiesa di Santa Margherita, ora, è stata finalmente restaurata. “Abbiamo individuato e recuperato le poche colonne originali superstiti e i brani architettonici ancora integri o leggibili – racconta Chiara Matteazzi, architetto responsabile dell’intervento -. Di altre colonne non restavano che frammenti marmorei di nessun significato, se non come reliquie dell’evento bellico”. Grazie a un paziente lavoro di anastilosi (la ricostruzione mediante la ricomposizione con i pezzi originali, ndr), spiega ancora Matteazzi, “è stato possibile ridare forma all’antico chiostro, recuperando ove possibile, ogni materiale originale e integrando i resti con nuovi manufatti realizzati nelle forme di quelli scomparsi. Naturalmente le nuove colonne, copie di quelle andate perdute, sono state marchiate con la data della realizzazione per distinguerle da quelle originali. Anche per il tetto del chiostro abbiamo recupero le poche tegole superstiti reintegrandole con altre già “vissute” provenienti da vecchi edifici trevigiani”. Nel corso dell’intervento sono riemerse anche tracce di affreschi di cui non si aveva memoria e pochi brani dell’intonaco originale, il tutto a sua volta consolidato e restaurato. Di particolare interesse, un ampio lacerto di affresco con raffigurati la Madonna in trono con Bambino tra Santa Margherita e Santa Caterina e un Serafino, da collocare agli ultimissimi anni del Duecento.

Degli altri lati del grande chiostro, purtroppo, non è rimasta traccia, spazzati via prima dal bombardamento e poi dall’occupazione degli spazi del monastero da parte di altri edifici. E’ invece rimasto l’ampio sterrato che corrispondeva in epoca monastica al giardino del chiostro: quest’ultimo è stato recuperato come spazio per manifestazioni e pavimentato in trachite e sassi di fiume, pavimentazione con la quale – spiega ancora evidenzia l’architetto Matteazzi – “abbiamo voluto creare una sorta di cannocchiale che oggi conduce sino ad un muro, oltre il quale continua ad esistere un il secondo ampio chiostro dell’antico monastero. Questo secondo chiostro, praticamente integro, è oggi parte dell’Archivio di Stato”.
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