Le tombe ritrovate sono 16. Monete e corredi consentono una datazione in due fasi distinte: I e II secolo d.C. per le tombe a incinerazione, IV secolo d.C. per quelle a inumazione. La scoperta fornisce un altro tassello nella lunga storia della media Valle del Piave, territorio che anticamente costituiva un punto di passaggio “obbligato” verso le aree alpine
di Redazione / EP (foto: ©Sabap per l’area metropolitana di Venezia e le province di Βelluno, Padova e Treviso)

Una necropoli di 16 tombe di età romana è riemersa a Castellavazzo, frazione di Longarone in provincia di Belluno. Le sepolture, che testimoniano sia il rito dell’incinerazione sia quello dell’inumazione, risalirebbero a due fasi diverse: il I-II secolo d.C. e il IV secolo d.C. rispettivamente. La scoperta fornisce un altro tassello nella lunga storia della media Valle del Piave, territorio che anticamente costituiva un punto di passaggio “obbligato” verso le aree alpine più interne, e permetterà di approfondire il tema della viabilità militare che in epoca romana collegava Altino con il Norico (Austria), attraverso il centro Cadore e il passo di Monte Croce Comelico, altre aree il cui interesse a livello archeologico è ben noto.

La necropoli è tornata alla luce durante i lavori sulla Strada Statale 51 d’Alemagna, in corso di realizzazione da parte di Anas (Gruppo FS Italiane), nel quadro degli interventi per il miglioramento dell’accessibilità a Cortina, anche in vista degli eventi olimpici previsti per il 2026. Le indagini, concluse in questi giorni, sono state effettuate dagli archeologi di P.ET.R.A soc. coop., con la direzione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso e la collaborazione della stessa Anas.

Dalla strada alle tombe
Durante i lavori per la realizzazione della nuova pista ciclabile e l’allargamento della sede stradale a sud del nucleo abitato di Castellavazzo – si legge nella nota diffusa dalla Soprintendenza – sono state individuate evidenze riferibili ad un tracciato stradale, consolidato con una stesura di scaglie di pietra, sul cui andamento e sulla cui datazione sono al momento in corso gli opportuni approfondimenti di studio.
A ridosso di tale tracciato, nel tratto più prossimo al centro abitato di Castellavazzo (in loc. Crosta, zona già in parte alterata dalla viabilità realizzata negli anni Cinquanta del Novecento e dove è attualmente in corso di realizzazione un sottopasso ciclo-pedonale), sono state portate in luce sepolture romane, verosimilmente riferibili ad un ambito di necropoli già testimoniato da ritrovamenti effettuati in passato, i cui reperti sono oggi esposti al pubblico grazie all’ “Expo archeologica” allestita al piano terra dell’ex Municipio.

Le sepolture ad incinerazione rinvenute sono per lo più in semplice fossa, vale a dire che i resti combusti del defunto e del suo corredo non erano contenuti all’interno di recipienti (ossuari). In un caso si è riscontrata la presenza di un recipiente in terracotta con funzione di ossuario/cinerario, a sua volta protetto riutilizzando parte di un’anfora; per tale tomba, come per un’altra tomba ad incinerazione particolarmente delicata, si è proceduto al prelievo “in blocco”, per poterle sottoporre a scavo con le dovute attenzioni in laboratorio. Questo particolare procedimento, così come l’adozione di altre strategie in corso di scavo, si inserisce in un’azione sistematica di raccordo tra committenza, ditte esecutrici e istituzioni coinvolte, finalizzata a conciliare i tempi e le esigenze del cantiere stradale con quelli della rigorosa indagine archeologica stratigrafica, minimizzando al contempo – per quanto possibile – i disagi per i cittadini.

La datazione delle sepolture, sulla base delle prime osservazioni sulle monete associate e sui materiali di corredo destinati ad accompagnare i defunti nell’aldilà, appare riferibile a due fasi distinte: le tombe ad incinerazione sono preliminarmente collocabili in un periodo compreso tra il I ed il II secolo d.C., mentre almeno alcune delle inumazioni risulterebbero invece più recenti e databili alla fase tardo romana (IV secolo d.C.).

Considerato l’interesse complessivo dei dati finora emersi, la Soprintendenza ha annunciato che procederà allo studio e all’analisi del sito e dei materiali. L’obiettivo è quello di comunicare al pubblico, anche attraverso la futura musealizzazione dei reperti, elementi rilevanti per la conoscenza storica del romano Pagus Laebactium, il nucleo da cui ha avuto origine l’attuale Castellavazzo.
Fonte: Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Βelluno, Padova e Treviso
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