Presentati i primi risultati dello scavo “Appia Regina Viarum”, un progetto di archeologia pubblica della Soprintendenza Speciale di Roma che, di fronte alle Terme di Caracalla ha portato alla luce edifici, strutture e reperti. Tra i ritrovamenti più importanti una moneta quadrata databile tra il 690 e il 730, tra le prime coniate sotto il…

L’area delle Terme Caracalla era frequentata anche nel Medioevo e ha vissuto trasformazioni importanti da assoluta protagonista. A dimostrarlo sono i risultati dello scavo Appia Regina Viarum, un progetto di archeologia pubblica della Soprintendenza Speciale di Roma che, di fronte alle Terme di Caracalla ha portato alla luce edifici, strutture e reperti, con importanti scoperte a partire dal II secolo fino all’età moderna. Nel corso dei mesi, da luglio fino agli inizi del 2023, i ricercatori e gli archeologi della Soprintendenza Speciale e dell’Università di Roma Tre hanno dovuto fronteggiare non poche difficoltà, a cominciare dalla massiccia risalita d’acqua che impediva di raggiungere gli 8 metri di profondità, quota del basolato antico. Ma i loro sforzi sono stati ripagati ed ora, nell’anno della candidatura a patrimonio Unesco della via Appia, nuove evidenze archeologiche confermano la valenza culturale della Regina Viarum, la strada più antica e celebre di Roma, permettendo di avviare la ricostruzione del capitolo finora più oscuro della sua storia, quello tardoantico e altomedievale.
I risultati dello scavo, presentati ieri alla stampa e agli addetti ai lavori, hanno dato la possibilità – ha spiegato Daniela Porro Soprintendente Speciale di Roma – di leggere a ritroso la storia dell’area dove sorgeva una delle strade più importanti dell’antica Roma: un programma finalizzato non solo a trovare importanti resti e reperti ma anche a valorizzare le Terme di Caracalla e il loro contesto. «Fondamentale – ha aggiunto – è che la Soprintendenza continui a svolgere attività scientifica, come in questo caso collaborando con l’Università Roma 3, e utilizzando proficuamente fondi europei».
Partito nel 2018 con indagini non invasive, lo scavo vero e proprio è cominciato dal luglio 2022 con il coinvolgimento di figure professionali diverse: oltre agli archeologi, strutturisti, geologi, architetti, archeosismologi. Grande successo hanno riscosso le aperture dei lavori alla cittadinanza attraverso visite guidate, momenti che hanno coinvolto migliaia di cittadini. Il progetto ha inoltre visto la pubblicazione, attraverso la piattaforma Sitar della Soprintendenza, di relazioni settimanali che hanno reso possibile un costante aggiornamento sull’andamento degli scavi.

Obiettivo: scoprire la viabilità dell’Appia antica
L’obiettivo primario del progetto – spiega la Soprintendenza – era comprendere la viabilità dell’Appia antica, nodo strategico dell’antica Roma, a cominciare dal primo tratto, i cui lavori di costruzione iniziarono nel 312 a.C. per volere del censore Appio Claudio Cieco facendo ristrutturare e ampliare una strada preesistente, che collegava Roma ai Colli Albani, prolungandola fino a Capua, da poco sotto il controllo romano. Alla metà del III secolo a.C. il tragitto fu esteso fino a Beneventum per poi raggiungere Tarentum (Taranto) e infine, verso il 190 a.C., il porto di Brundisium (Brindisi). Oggi il tracciato iniziale della Appia è quasi scomparso, tanto che è opinione comune che la strada cominciasse da porta San Sebastiano. Le fonti antiche tramandano però che la Regina Viarum partiva almeno un chilometro prima, a Porta Capena, dove oggi sorge l’omonima piazza. Un altro nodo dell’indagine era il rapporto che legava la via Appia alla via Nova Severiana, la strada rifatta dai Severi all’inizio del III secolo, che ne ripercorreva il tracciato oppure lo affiancava. Come spesso succede, gli scavi hanno dato indizi utili per rispondere alle domande, ma hanno anche fornito un gran numero di informazioni, molte delle quali estremamente interessanti, riguardo alla continuità di frequentazione della zona in epoca tardoantica e altomedievale, periodi qui ancora poco documentati.

Dallo scavo reperti straordinari
«Le strutture più antiche – ha spiegato Mirella Serlorenzi direttore scientifico dello scavo – risalgono all’età adrianea, arrivano a quella severiana e distano dalle tabernae davanti alle Terme circa 30 metri che corrisponderebbero a 100 piedi romani, ovvero la larghezza della via Nova severiana come riportata dalla Forma Urbis, la grande pianta marmorea della città realizzata nel III secolo. La stratigrafia ha soprattutto restituito le continue trasformazioni di strutture di età imperiale, con la sovrapposizione nel tempo di attività produttive o abitative. La quantità di informazioni e di materiali rinvenuti forniscono l’immagine di un’area viva e frequentata fino all’altomedioevo, periodo di cui a Roma si hanno scarse testimonianze. Emerge così la trasformazione dell’Urbs imperiale nella Roma cristiana medievale decisiva nella storia della città».

Durante la tarda antichità le strutture adrianee e severiane vennero trasformate, forse anche con ampliamenti, e probabilmente utilizzate per attività produttive. Di quali lavorazioni si trattassero lo stabilirà solo un’approfondita analisi dei materiali, tuttavia il ritrovamento di un grande deposito di cenere non originata da un incendio sembra suggerire che la stessa venisse usata come sbiancante in un lavatoio oppure per la lavorazione del vetro o della ceramica. Gli edifici crollarono o furono distrutti intorno al IX secolo; circa cento anni dopo, sulle macerie venne realizzata una strada in semplice battuto, segno inequivocabile della continuità di vita dell’area. Tra i reperti più antichi tornati alla luce spicca una testa di statua, una colonna con una iscrizione beneaugurale, una tabula lusoria, pedine da gioco, monete, scampoli di mosaico e resti di anfore. Ma sono soprattutto i reperti risalenti alla tarda antichità e all’alto Medioevo ad essere ritenuti di eccezionale importanza: in particolare, per la sua rarità, una moneta quadrata, una delle prime coniate sotto il controllo papale e databile tra il 690 e il 730, e un anello in bronzo con monogramma, da sciogliere con il nome di Antonio o Antonino, risalente al VI secolo. Non mancano inoltre frammenti di ceramica invetriata, residui e scarti di materiale di fusione.
«I ritrovamenti – spiega Riccardo Santangeli Valenzani docente di Archeologia Medievale di Roma 3 – sono da mettere in relazione con le istituzioni presenti nell’area e di cui ci parlano le fonti, come la Basilica di Santa Balbina e la Chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, l’antico titulus (cioè una chiesa corrispondente più o meno a una moderna parrocchia) denominato Fasciolae probabilmente dalla reliquia della fasciatura caduta dalle caviglie di san Pietro mentre si accingeva a lasciare Roma dalla via Appia». Nell’area c’era inoltre anche uno xenodochio, un ente destinato all’accoglienza dei pellegrini, che le fonti citano come esistente sulla Via Nova severiana alla fine del VI secolo.

Nel tardo medioevo e nell’età moderna l’abitato si restrinse attorno all’ansa del Tevere, e l’area delle Terme venne utilizzata per scopi agricoli, con orti e vigne ampiamente testimoniate dalle indagini archeologiche. Sempre in epoca moderna sono rimaste tracce anche di un’altra attività che si svolgeva presso tutti i grandi monumenti romani: la spoliazione. Lo scavo ha intercettato una grandissima fossa realizzata alla fine del XVIII secolo per recuperare materiale da costruzione, giacché i mattoni antichi erano molto ricercati per la loro qualità dagli architetti e dai muratori dell’epoca. Il confronto con i dati di archivio ha consentito di dare un volto e un nome all’autore di questa opera: nel dicembre del 1771 Alessandro Gavotti, barone e proprietario di quest’area, allora tenuta a vigna, chiese una autorizzazione per scavare e “cavare tavolozza”, i mattoni appunto. Gavotti è un personaggio ben noto alle cronache dell’epoca perché al centro di uno dei più clamorosi scandali di quegli anni: accusò infatti la moglie Virgina Verospi, che lo tradiva, di aver tentato di avvelenarlo in combutta con l’amante.
Non sono, comunque, soltanto i ritrovamenti a fare dello scavo di archeologia pubblica di viale delle Terme di Caracalla molto di più di un semplice scavo archeologico, concepito come un esperimento culturale a tutto tondo che coinvolge in prima persona i cittadini. Il cantiere è stato infatti raccontato, passo dopo passo, attraverso i canali social ma anche dal vivo con le visite guidate per tutti, dai bambini agli studenti per arrivare agli appassionati di archeologia. Un’occasione importante per svelare il mestiere dell’archeologo e condividere con la città e il pubblico la passione per la ricerca e per la storia.
Fonte: Soprintendenza Speciale di Roma
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