Di Massimiliano Visalberghi Wieselberger (*)
L’arco temporale in cui si sviluppa la cosiddetta “Età del I Ferro” risulta caratterizzata da numerosi e peculiari elementi, spesso e volentieri legati a definiti contesti culturali; ma ancor più spesso a testimonianze del ricettacolo di interscambi avvenuti all’interno delle presenze etno-culturali nella penisola italiana. Questo è, ad esempio, il caso dei cosiddetti “sandalia tirrenika” o “sandali con elementi metallici“.
L’espressione “tirrenika” può trarre in inganno: l’allusione non è da interpretare in chiave “etnica“, bensì è correlata ad una diffusione geografica, sebbene le diverse testimonianze archeologiche dimostrano come questo tipo di sandali siano diffusi anche al difuori dell’Etruria “classica”. Esemplari sono stati ritrovati in Lazio, Marche, Campania; enorme diffusione ebbero in Abruzzo, e un paio di riscontri sussistono in Emilia-Romagna, ad esempio a Marzabotto e a Gattara. I ritrovamenti hanno qualcosa in comune: provengono quasi sempre da contesti tombali i cui corredi denotano un livello sociale elevato e in cui spesso sono presenti elementi di ricca produzione e provenienza.

Struttura:
I sandali presentano forme e struttura avvicinabili tra di loro, sebbene non sempre identiche. Sono solitamente composti da due parti, corrispondenti alle due parti della pianta del piede: avampiede e calcagno. Ognuna è strutturata in una cornice metallica che rende la sagomatura del sandalo. A volte la cornice risulta in alzato, così da racchiudere lateralmente il piede. Il metallo può essere una lega di rame, oppure di ferro.
Quest’ultimo risulta, per il periodo di riferimento, un materiale ancora più pregiato, considerando che il suo uso e la conoscenza di tecnologie applicate erano ancora tutto sommato “recenti” rispetto alla produzione del bronzo. Ciò rendeva l’uso del minerale ferroso ancor più raro e significativo circa l’elevato status sociale del portatore.
Analizzando la struttura di alcuni ritrovamenti è stata inoltre riscontrata la presenza di una suola alta in materiale ligneo.

Ad oggi di sandali di questo tipo se ne possono contare oltre 40. Le tombe da cui provengono risultano sia maschili, che, in alcuni casi, anche femminili. Ovviamente, va sempre considerato attentamente il contesto culturale di riferimento.
Carta della diffusione dei sandalia tirrenika in Italia. Nell’angolo in alto a destra, i ritrovamenti in Albania e Grecia (Da Weidig, Frankenhauser, 2014)
Etruschi, Latini, Sabini, Piceni, Oschi, Ausoni. Gli ambiti culturali sono diversificati e non sempre si hanno certezze dell’esatto significato dei sandali in relazione al loro portatore.

Geograficamente, si può notare come la loro presenza sia spesso legata a zone caratterizzate da alture e dove si praticava la pastorizia. Un fattore che merita un confronto con il ritrovamento di simili sandali anche in Grecia, oltre ad un esemplare conosciuto proveniente dall’Albania. Tutti e tre i contesti geografici hanno dunque in comune la presenza di zone in altura e l’esercizio della pastorizia come risvolto economico e sociale significativo e caratterizzante di queste culture.

Seguendo una simile “chiave di lettura” si potrebbe ritenere che questi sandali metallici risultino le forme più “ricche e pregiate” di calzari da altura, ancora in uso in tempi recenti presso le comunità di pastori alpini, appenninici e via dicendo. D’altro canto, l’utilizzo da parte femminile o comunque un impiego legato a contesti più “urbani” suggerirebbe anche la presenza di un fattore legato alla moda e allo stile del periodo. Sicuramente l’una teoria non è a discapito dell’altra ed entrambi gli utilizzi possono essere significativi di aspetti culturali legati ad uno o all’altro risvolto culturale.
Come spesso le fonti storiche ci ricordano, le strade urbane nelle prime fasi delle città come degli stanziamenti erano fangose, quindi una scarpa o soprascarpa rialzata avrebbe salvato “dignitosamente” il vero calzare. Allo stesso modo, in ambito paletnologico e antropologico comparato deve essere considerata la comodità e praticità dell’impiego, su percorsi in altura, di un rialzo per scarpa simile a una zeppa lignea. Funzionalità, praticità, posizione sociale ma anche stile, dunque, sono tutti aspetti che vanno tenuti presenti per interpretare correttamente i reperti.
Secondo una possibile interpretazione, anche le calzature indossate dalla famosa statua del Guerriero-Principe di Capestrano potrebbero essere di questo tipo.


D’altro canto, la ragazza sepolta nella tomba n. 89 dalla necropoli di Calvi Risorta (antica Cales), riferibile agli Ausoni, dimostra come l’ambito sociale fosse assai eterogeneo, e non sempre legato al sesso del portatore.

Tra il corredo di quest’ultima, però, si può anche notare un oggetto interpretato dagli studiosi come uno scettro, il che corrobora ulteriormente l’importanza del rango sociale di queste figure, maschili o femminili che fossero.

Per quanto tempo furono in uso i sandali metallici?
Dai ritrovamenti archeologici finora riemersi, si può valutare un periodo di utilizzo che percorre sicuramente tutto l’Orientalizzate (tra VII e VI secolo a.C.) per prolungarsi potenzialmente nel V secolo a.C. Dalla famosa tomba dei Rilievi a Cerveteri, databile al IV secolo a.C., un elemento in rilievo su di una delle mensole figurate centrali è stato interpretato come un paio di questi calzari: il che allungherebbe la durata del loro effettivo utilizzo.

Come detto prima, si può anche considerare che in ambito cittadino questo tipo di calzari fungessero da rialzo e da maschera per le vere calzature, in maniera non dissimile dall’uso funzionale delle zeppe moderne. Di certo, i sandala tirrenika risultano un “segnacolo” interessante sia dal punto di vista della diffusione, che da quello della funzione e del significato presso le culture che li acquisirono.


FONTI:
– Benelli, E. 2008: Prime osservazioni della fase orientalizzate ed arcaica della necropoli di Fossa. In: Tagliamonte, G.: Ricerche di archeologia medio-adriatica
– Bermond Montanari, G. 1996: La necropoli di S. Martino in Gattara,(Ravenna)
– Bonfante, L. 203: Etruscan dress (versione aggiornata)
Brizio, E. 1889: Relazione sugli scavi eseguiti a Marzabotto
– Cianfarani, V.1970, Culture Adriatiche d’Italia
– Colonna, Franchi dall’Orto, 2001: Eroi e Regine. Piceni. Popolo d’Europa.
– d’Ercole, V.; Benelli, E. 2004: La necropoli di Fossa II, i corredi orientalizzanti ed arcaici
– d’Ercole, V.; Cella, E., 2007: I semata in pietra della necropoli di Capestrano
– DLM 1980: Deutches Ledermuseum. Katalog Heft 6
– Emiliozzi, A. 1997: Carri da Guerra e Principi Etruschi. Catalogo della mostra, Ancona.
– Franchi dell’Orto, L. 2010: Il guerriero di capestrano e la statuaria medio-adriatica. in: Pinna Vestinorum ed il popolo dei Vestini
– Frankenhauser, 2012: Etruskische Sandalen.
– Moretti, Sgubini, A. 1999: Il Museo nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. Guida breve
– Passaro, G. Ciaccia, C. 2000: Cales. La necropoli dall’Orientalizzante Recente all’età ellenistica. In: Studio sull’Italia dei Sanniti, in occasione della mostra al Museo Nazionale Romano, terme di Diocleziano, Roma.
– Semmelhack, E, 2008: “Heights of Fashion”. A History of Elevated shoe. Bata Shoe Museum, Toronnto.
– Swann, J, 2001: History of fotwear in Sweden, Norway and Finland, Prehistory to 1950, Stockholm.
– Weidig, J, 2014: La necropoli di Bazzano
– Weidig, J; Frankenhauser, N. 2014: Etruskische sandalen mit zweitteiligen sohlen.
(*) Massimiliano Visalberghi Wieselberger è un archeologo e disegnatore archeologico che ha collaborato in scavi con varie Soprintendenze e Università. Svolge per conto della UISP il ruolo di tecnico educatore culturale ed archeologico tenendo laboratori, lezioni didattiche e conferenze sulle tipologie di archi tra Oriente e d Occidente, dalla Preistoria al Medioevo. E’ consulente archeologico per alcune Associazioni di rievocazione e/o archeologia sperimentale. per cui prepara e sostiene didattiche collaborative, in nome della cooperazione culturale.
Pubblica su Academia.edu e per la rivista online Antrocom: Journal of Anthropology. Da quasi 10 anni è attivo nella divulgazione culturale su Facebook con lo pseudonimo “Max Berger” attraverso la diffusione di articoli, album fotografici con materiali archeologici e link di libri a tema storico-archeologico e antropologico. Il suo motto è “Mai abbastanza”.