A Cordenons (PN), durante i lavori di sbancamento della cava Ghiaie Santa Fosca in località Manera, gli archeologi hanno riportato alla luce diciotto sepolture “a fila” databili all’epoca altomedievale, in massima parte pertinenti a donne adulte. Tra i pochi elementi di corredo sono stati ritrovati pettini in osso, fusi circolari da telaio, un orecchino in rame, assieme a occasionali frammenti di ceramica a impasto grezzo. La necropoli apparteneva probabilmente a una comunità di autoctoni insediatasi tra le rovine di una vicina villa rustica romana.
di Elena Percivaldi (foto ©SABAP FVG)

Ennesimo ritrovamento archeologico di interesse in Friuli Venezia Giulia. Nel territorio di Cordenons (Pordenone), e per la precisione in località Manera, sono state stavolta riportate alla luce, nei giorni scorsi, 18 sepolture altomedievali, per lo più appartenenti a individui di sesso femminile. Già sconvolte in passato dagli interventi agricoli, le tombe hanno conservato solo rari elementi di corredo funerario: qualche pettine d’osso, frammenti di ceramica, fusi circolari da telaio e un orecchino in rame. Sufficienti però per far ipotizzare agli archeologi che i resti appartengano ai membri di una comunità autoctona insediatasi nei pressi della villa rustica romana, già emersa a poca distanza.
La scoperta è stata fatta in occasione delle attività di sbancamento presso la cava Ghiaie Santa Fosca, già cava di Villa D’Arco, un lavoro intrapreso – come si legge nella nota divulgata dalla Soprintendenza – per consentire l’ampliamento della superficie estrattiva. La sorveglianza agli scavi era stata prescritta proprio per via della presenza, in prossimità dell’area, di un complesso rustico di epoca romana, precedentemente documentato, del quale sopravvive soltanto un ambiente seminterrato con pavimentazione in tegole e perimetrali in mattoni. I lavori, condotti dalla società Ghiaie Santa Fosca s.r.l. e svolti in coordinamento con l’archeologo Pietro Riavez della ditta ArcheoTest s.r.l., con l’affiancamento dell’antropologa Lisa De Luca e sotto la direzione scientifica del funzionario archeologo Serena Di Tonto per la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia, hanno riportato alla luce alcuni resti ossei riferibili sulle prime a quattro inumazioni in fossa, in parte già sconvolte dalle arature. L’indagine successiva, intrapresa per delimitare l’area di distribuzione delle tombe e verificare in parallelo la possibile esistenza di altre strutture superstiti, ha portato a individuare in tutto diciotto sepolture, in stato di conservazione variabile: solo poche di esse erano state risparmiate dagli interventi arativi perché collocate a una quota leggermente inferiore. Per lo più si tratta di sepolture prive di corredo funerario. Le poche evidenze hanno tuttavia permesso di datare, in via preliminare, le inumazioni all’epoca altomedievale.
Dopo le procedure di documentazione scientifica, i resti sono stati rimossi per essere conservati in strutture idonee, permettendo in tal modo la prosecuzione dei lavori all’interno della cava.

Una comunità autoctona?
Le tombe – si apprende sempre dalla Soprintendenza – sono tutte in semplice fossa in terra, alcune irregolarmente delimitate da grossi ciottoli. La maggior parte appaiono orientate Est-Ovest e distribuite lungo una singola fila, un modo di seppellire i morti tipico del periodo tardo-antico e dei primi secoli del Medioevo. Altre sepolture presentano invece un orientamento divergente e paiono distribuite in maniera casuale. Tra i pochi elementi di corredo, gli archeologi hanno potuto recuperare pettini in osso, fusi circolari da telaio e un orecchino in rame, assieme a occasionali frammenti di ceramica a impasto grezzo.
L’analisi antropologica, ancora in corso, ha per ora permesso di stabilire il sesso degli inumati, in massima parte donne adulte di varie età, e di individuarne patologie, fratture e fenomeni di usura legati alle attività lavorative che svolgevano.
La tipologia della necropoli “a fila” e gli elementi di corredo consentono di ipotizzarne la datazione all’epoca altomedievale: probabilmente si tratta del luogo di sepoltura utilizzato da una comunità di autoctoni insediatasi tra le rovine della vicina villa rustica.
Fonte: SABAP FVG
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