Dal 24 gennaio al 10 aprile un inedito sguardo sulle collezioni del Museo Civico d’Arte Antica in Palazzo Madama e la loro storia: in mostra a Torino chiavi reali e allegoriche, che consentono di aprire la porta della città e svelarne l’animo.

Un inedito sguardo sulle collezioni civiche di Torino e sulla loro storia attraverso una selezione di opere emblematiche, in un percorso che accompagna il visitatore da La porta della Città nella Corte Medievale a Le chiavi della Città nella Sala del Senato. E’ questa l’esposizione che apre i battenti il 24 febbraio in Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica: in mostra chiavi reali e allegoriche che fino al 10 aprile 2023 consentono di “aprire la porta” di Torino e svelarne l’animo.
Nato il 4 giugno 1863, il Museo Civico di Torino ebbe fin dal 1878 un compito preciso: testimoniare la storia della città di Torino e la sua evoluzione nei millenni attraverso un percorso inevitabilmente intessuto sulla grande storia dell’artigianato artistico, quello che dà vita alle cosiddette arti applicate. Se il percorso non può che principiare dall’elemento simbolico di questo passaggio – l’esposizione delle chiavi e della mazza della Città di Torino – da qui si procede in un racconto che intesse capolavori paradigmatici e opere che, pur essendo di rilievo assoluto, appaiono da secoli avvolte in una sorta di cono d’ombra, poco percepite nella loro eccezionalità.
Le secentesche “chiavi in bronzo dorato che la Città di Torino presentava ai Sovrani al loro ingresso nella Città” risalgono all’epoca di Cristina, prima Madama Reale; la mazza cerimoniale della Città di Torino è invece realizzata nel 1814 da Luigi Dughet fondendo l’argento di “cucchiaini n. 28, cucchiari n. 21, forchette n. 22, cucchiaroni n. 1. Totale once 126. 7 e ½”. Una mazza dal profondo significato simbolico, poiché sancisce l’autorità del governo civico: nelle funzioni pubbliche era portata dall’usciere municipale, che precedeva il corpo dei decurioni, i cittadini scelti per svolgere insieme con il Sindaco le funzioni principali dell’amministrazione comunale.


Tesori in sala
La mostra inizia con la sezione Esporre e con il Tesoro di Desana, abitualmente conservato nella Torre dei Tesori ipogea di Palazzo Madama e acquisito nel 1938: uno dei più straordinari complessi italici di gioielli del periodo posteriore al 476 d.C, capolavori fondamentali nell’evidenziare l’altissima qualità dell’arte europea allo spegnersi dell’epoca tardo antica, oltre che testimonianza della guerra fra Bisanzio e gli Ostrogoti, una delle tante microstorie che hanno fatto la Storia. Per quasi 1.400 anni è rimasto sepolto in un nascondiglio nei pressi di una grande villa tardoromana finché non fu ritrovato arando un campo. Un tesoro preziosissimo anche nel suo testimoniare il matrimonio tra un nobile romano di nome Stefani(us) e una dama di origine germanica chiamata Vatatru(d), i cui nomi appaiono su di una vera nuziale.




Segue la sala dedicata al Piacere, alla contemplazione e alla visione con la capacità di indagare l’Io, l’intima essenza dell’uomo di Antonello da Messina, artefice di un’opera che anticipa di una generazione i ritratti di Leonardo, segnando inequivocabilmente il valore di un’arte e le primogeniture d’invenzione e ruoli.
Il fascino senza tempo dell’arte di Antonello, che si poneva in gara con i grandi padri dell’arte fiamminga. Non eccedere, ridurre al minimo il decoro delle vesti, concentrare massimamente l’attenzione nello sguardo e nell’espressione. Lavorare sull’ambiguità di un sorriso lievemente ironico. Sono le caratteristiche e le novità della ritrattistica del maestro, capace di costruire una sintesi psicologica, di restituire caratteri e personalità di uomini che divengono effigi assolute, in un’abilità che farà del siciliano uno dei più grandi ritrattisti di ogni tempo.
Come evidenzia nel Ritratto d’uomo (anche detto Ritratto Trivulzio), un’opera di singolare, potente e individualizzata perspicacia fisionomica. Un’immagine indimenticabile, un riassunto dell’uomo del Quattrocento italiano compiuto trent’anni prima, almeno, di un iconico sorriso cui infiniti commentatori l’accostano: quello, ovviamente, della Gioconda di Leonardo. L’opera giunge per via matrimoniale dai Rinuccini di Firenze alla collezione milanese del marchese Giorgio Teodoro Trivulzio, dove è certamente dalla metà dell’Ottocento. Fa poi parte dell’acquisto previsto nel 1935 da parte della Città di Torino dell’intera collezione Trivulzio. È Benito Mussolini ad annullare l’accordo: la raccolta rimane al museo di Milano, ma Torino ottiene come indennizzo il codice delle Très Belles Heures de Notre-Dame e questo ritratto.

Per secoli Antonio de Antonio, Antonellus messaneus nell’autografia, è stato un mito. Appena otto decenni dopo la sua morte s’erano già perse tracce e documenti, restavano solo racconti e leggende. Sarà Giovanni Battista Cavalcaselle a ricostruire per primo una plausibile cronologia del grande messinese, solo fondata sul confronto e la visione diretta, circoscrivendo l’attività di un maestro che era stato pressoché ignorato per tre secoli. Antonello si forma, tra il 1445 e il 1455, tra la natìa Messina, crocevia e scalo commerciale delle rotte che solcavano il Mediterraneo e nel vivace clima culturale della corte aragonese di Napoli, città ricca di opere provenzali e nordiche di altissimo valore, con il maestro Colantonio. Fin da principio il suo percorso pittorico mostra un’articolata impaginazione spaziale gestita con completa padronanza degli effetti luministici e una rivoluzionaria resa psicologica dei personaggi che popolano le sue opere. Sarà poi il soggiorno veneziano, datato 1475-1476, a segnare un definitivo punto di non-ritorno per l’intera storia dell’arte italiana del XV e XVI secolo. È infatti l’incontro tra l’arte di Antonello, impregnata d’umori nord-europei e catalani, e l’ambiente figurativo veneziano, in primis Giovanni Bellini, a creare le premesse di capolavori nei quali caratteristiche tipicamente fiamminghe come la posa di tre quarti, il diaframma del parapetto a segnare la separazione tra effigiato e spettatore, il fondo scuro, si coniugano a una resa del dato psicologico inedita per acutezza di penetrazione. Un’arte dalla parabola troppo breve, il 14 febbraio del 1479 il quarantanovenne Antonello facendo testamento; due mesi dopo egli risulta defunto, ponendo termine a una carriera artistica di straordinaria rilevanza, entro cui si condensarono con inedita coerenza e intensità, come raggi solari sotto l’effetto di una lente convergente, le diverse matrici culturali che si intrecciavano nel Mediterraneo in quell’epoca di splendore che fu il Quattrocento.
L’ambiente connesso al Ricercare è consacrato a Filippo Juvarra, artefice della trasformazione di Torino in capitale e qui protagonista attraverso una selezione dei 644 fogli in cui il grande architetto sviluppa costantemente ogni dettaglio, in uno studio che dalle prime idee e pensieri si articola in schizzi, rilievi e progetti che deflagrano in vedute di fantasia, scenografie e ornati. Si potranno ammirare il disegno della facciata di Palazzo Madama – ora oggetto di un complesso restauro – e i fogli dedicati alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, presentata con un magnifico modello in scala 1:500.

La sala dedicata al Collezionare è dedicata al principale artefice delle collezioni civiche e del loro preciso indirizzo nell’ottica di museo d’arti applicate: quell’Emanuele Taparelli d’Azeglio che, da ministro plenipotenziario italiano a Londra, ove sarà artefice della fondazione di club quali il Fine Arts Club e il celebre Burlington Club, rientrato a Torino donerà non solo le proprie raccolte di porcellane, maioliche e vetri dipinti e dorati, ma avrà la volontà di fare della propria passione privata una missione civile. Accanto alla sua figura quella di uno dei grandi donatori di opere extraeuropee: con Zaverio Calpini giunge a far parte delle collezioni del Museo Civico un formidabile nucleo di opere provenienti dagli stati messicani del Veracruz e del Tabasco, culla nel periodo pre-classico della ‘cultura-madre’ di tutta la Mesoamerica, capace con la sua arte di influenzare le successive civiltà dell’area. Un insieme che, al di là dell’eccezionale valore storico-artistico, pone oggi molte domande sul ruolo di un Museo civico occidentale, cui si sta cercando di dare risposta con i progetti in Corte Medievale.
Nella sezione successiva, quella dell’Educare, si è deciso di porre al centro l’ebanisteria piemontese del Settecento e la straordinaria fortuna delle opere di Pietro Piffetti, in cui perizia tecnica e fantasia inventiva si uniscono con risultati di estrema eleganza, mostrando quanto sia complessa l’esecuzione dei suoi capolavori e quale ruolo educativo abbia ancora la bottega. Si fa riferimento anche ai materiali usati dall’artista, narrando la provenienza dei legni, in molti casi esotici: dalle conchiglie importate dal Golfo Persico e dal Mar Rosso alla tartaruga dall’Oceano Indiano e dai Caraibi fino alla madreperla dalla costa occidentale dell’India.
La conclusione non può che essere in due sale: quella del Conservare, consacrata all’eccezionale figura di Vittorio Viale, uno tra i massimi direttori museali del Novecento – e alla sua tutela del patrimonio torinese – giunto a salvaguardare le ringhiere cadute nei bombardamenti di Torino: capolavori esse stesse dell’arte del ferro piemontese; e quella del Condividere, del donare: poiché è sulle donazioni che si è fatto il Museo civico, cui è stata data un’anima da ogni cittadino, da ogni torinese che in esso ha visto il prosieguo della propria storia, della propria memoria, della propria identità. In quest’ultima sezione, protagonista assoluto è il cofano del cardinale Guala Bicchieri, da due secoli in collezione privata e acquisito nel 2004 da Città di Torino e Regione Piemonte: capolavoro straordinario de l’Oeuvre de Limoges e insieme testimonianza significativa del gusto “internazionale” di un committente vercellese del Duecento. Un’opera che costituisce, al di là del suo valore stilistico, un tassello imprescindibile per ricostruire la storia del Piemonte medievale.


INFORMAZIONI:
Le chiavi della Città
Palazzo Madama –Museo Civico d’Arte Antica
piazza Castello, Torino
24 febbraio – 10 aprile 2023
ORARI Lunedì e da mercoledì a domenica: 10.00 – 18.00. Martedì chiuso
Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura
BIGLIETTI: Incluso nel biglietto di ingresso al museo: intero € 10,00 | ridotto € 8,00; gratuito Abbonamento Musei e Torino+Piemonte card
INFO: palazzomadama@fondazionetorinomusei.it – t. 011 4433501
PRENOTAZIONI tel. 011 5211788 o via mail a ftm@arteintorino.com
Prevendita: Ticketone.it
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