La mostra “Colori dei Romani. I Mosaici dalle Collezioni Capitoline”, in corso alla Centrale Montemartini, si arricchisce, dal 24 novembre, di sei nuove opere tra cui un mosaico bianco e nero decorato con figure di amorini circondati da tralci di acanto, un tempo pavimento di una tomba scoperta a Roma nel 1936 nei pressi della Stazione di Trastevere. Un evento imperdibile che offre uno spaccato della società romana nel periodo compreso tra il I secolo a.C. e il IV d.C.
di Redazione (foto: Centrale Montemartini)
Grazie agli interventi di restauro che proseguono ininterrotti sui mosaici delle Collezioni Capitoline, la mostra “Colori dei Romani. Mosaici dalle Collezioni Capitoline”, promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, presenta per la prima volta al pubblico, dal 24 novembre, altri sei capolavori che si aggiungono all’ampia selezione di mosaici già proposta nell’esposizione in corso dall’aprile 2021. Un evento importante che, attraverso la trama colorata di queste opere, prosegue il racconto della storia della città di Roma, illustrando nel modo più completo i contesti originari di rinvenimento.

Accanto ai mosaici sono esposti anche gli affreschi e le sculture che insieme ad essi costituivano l’arredo degli edifici di provenienza; questa presentazione d’insieme consente di interpretare le scelte iconografiche, i motivi decorativi, l’aspetto formale delle opere come espressione del gusto e delle esigenze dei committenti. Tutto questo offre un significativo spaccato della società romana in un ampio periodo compreso tra il I secolo a.C. e il IV d.C. Le sei opere si inseriscono nel percorso della mostra arricchendone le quattro sezioni tematiche, allestite secondo un percorso cronologico, con inediti motivi figurativi e geometrici.

La prima sezione, intitolata Storia e tecnica del mosaico, introduce alle vicende di questa forma d’arte: attraverso una significativa “campionatura” di tutte le tipologie dei pavimenti e delle decorazioni musive parietali vengono illustrate le tecniche, i materiali, i colori, i motivi decorativi, l’evoluzione stilistica e la trasformazione dell’arte musiva nel corso del tempo. Dal più semplice decoro alla più complessa narrazione, i mosaici esposti sono l’espressione più alta e raffinata di capacità tecnica e di ispirazione artistica. Questa sezione ora si arricchisce di nuove trame colorate realizzate con le grandi tessere di due preziosi marmi policromi databili tra il III e il IV secolo d.C. Il primo presenta un motivo a scacchiera con riquadri di differenti colori, mentre il secondo è decorato da una più complessa composizione formata da motivi geometrici e floreali. Tessere di marmi preziosi, di basalto e di porfido rosso, creano un efficace contrasto cromatico.

La seconda sezione, Vivere e abitare a Roma, presenta i mosaici provenienti dalle dimore di lusso, che a partire dall’età repubblicana caratterizzavano alcuni settori della città antica. Il percorso segue un criterio cronologico, passando dagli esemplari più antichi – come il grande mosaico policromo a cassettoni, scoperto presso la Villa Casali al Celio – a quelli via via più recenti, fino ad arrivare al IV secolo d.C., epoca alla quale appartiene il mosaico con busto di stagione, forse parte dell’ornamento pavimentale di un edificio che ricadeva nella proprietà dell’imperatore Gallieno.

Fa da quinta scenografica a questa sezione lo straordinario mosaico parietale con la scena della partenza di una nave dal porto, preziosissimo ornamento della domus di Claudius Claudianus, una ricca dimora che sorgeva sul Quirinale nella seconda metà del II secolo d.C. La ricchezza della casa era ostentata con preziose sculture e sontuosi oggetti di arredo, che sono stati per la prima volta presentati in questa mostra a testimonianza del prestigio sociale, del gusto abitativo e dell’esigenza di autorappresentazione del proprietario.

Anche questa sezione ora si amplia con nuove opere, tra le quali domina il grande mosaico pavimentale con decorazione anch’essa a cassettoni, proveniente da una lussuosa domus che sorgeva in età repubblicana sull’Aventino. L’eccezionale stato di conservazione del mosaico presenta il pavimento integro in tutte le sue parti.
Particolarmente interessante, nel percorso, è la terza sezione, dedicata a Gli spazi del sacro: la Basilica Hilariana. La Basilica Hilariana, sede del collegio dei sacerdoti addetti al culto di Cibele e Attis, è infatti l’esempio emblematico di un apparato decorativo in cui tutti gli elementi dell’arredo concorrono alla narrazione del contesto e della sua funzione. I primi resti archeologici vennero alla luce tra il 1889 e 1890 durante gli scavi per la costruzione dell’ospedale militare del Celio. L’edificio aveva incredibilmente preservato in situ un insieme di reperti significativi per l’identificazione stessa del monumento, tra i quali due mosaici straordinariamente conservati, esposti nella sezione. Manius Poblicius Hilarus era il ricco mercante di perle che sostenne gli oneri finanziari per la costruzione della basilica che da lui prese il nome; sulla soglia dell’edificio l’iscrizione a mosaico recitava: “A chi entra qui, e alla Basilica Hilariana, siano gli dèi propizi”.

Conosciamo anche il volto del generoso benefattore: si conservano, infatti, il suo ritratto e la base della sua statua, posta all’ingresso dell’edificio, che al momento della straordinaria scoperta fu accuratamente documentato con tavole acquarellate, anch’esse esposte in mostra con tutti gli elementi dell’apparato decorativo scultoreo e musivo.

La quarta sezione infine, I mosaici dei sepolcri, presenta i mosaici degli edifici funerari rinvenuti nelle necropoli del suburbio di Roma. Nel repertorio sepolcrale la decorazione – che si tratti di temi figurati, di motivi ornamentali o di soggetti mitologici – è volta sempre a esaltare le qualità del defunto e a rievocare i valori collettivi fondamentali della società romana. I mosaici qui presenti sono tutti cronologicamente inquadrabili nel II e III secolo d.C. e provengono da contesti funerari situati nelle aree suburbane della città. Con i suoi colori vivaci, il mosaico ottagonale con pavoni è un esempio emblematico di un motivo decorativo carico di significati escatologici e salvifici: il pavone, uccello sacro a Dioniso, perdendo ogni anno la coda e rimettendola in primavera con lo sbocciare dei fiori, allude alla rigenerazione oltre la morte.

I documenti messi a corredo dell’esposizione mostrano il contesto di rinvenimento: il mosaico costituiva la parte centrale del pavimento di una ricca tomba di famiglia situata lungo la via Appia. Dal 24 novembre, anche questa sezione accoglie altre opere inedite, tra cui un mosaico bianco e nero che presenta una vivace decorazione con figure di amorini circondati da tralci di acanto. Il mosaico costituiva il pavimento di una tomba scoperta a Roma nel 1936, durante gli scavi per la costruzione di una chiesa nei pressi della Stazione di Trastevere; l’edificio sepolcrale faceva parte della necropoli che in età romana sorgeva lungo la via Portuense.
A corredo delle opere esposte, la ricca e preziosa documentazione d’archivio illustra i rinvenimenti con foto storiche, acquarelli e disegni, testimonianze che aiutano a raccontare il clima e le circostanze che determinarono queste scoperte: le trasformazioni urbanistiche e il fervore edilizio che caratterizzarono la storia di Roma tra gli ultimi decenni dell’800 e i primi decenni del secolo scorso, quando, parallelamente al progressivo ampliamento della città per far fronte alla sua nuova funzione di capitale d’Italia, fu scritta una delle più “fortunate” pagine dell’archeologia romana.

La mostra è a cura di Claudio Parisi Presicce, Nadia Agnoli e Serena Gugliemi. La progettazione e la direzione dei lavori di allestimento sono a cura degli architetti della Sovrintendenza Roberta De Marco e Monica Zelinotti, con la collaborazione di Maria Cucchi e Simonetta De Cubellis. La guida breve alla mostra è pubblicata da Campisano Editore (ACQUISTALA QUI). Organizzazione a cura di Zètema Progetto Cultura. Per informazioni e modalità di visita: www.centralemontemartini.org
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