LIBRI / La Scozia “crocevia di nazioni”: viaggio nella Storia tra reperti mozzafiato, dai Vichinghi al Medioevo

Lungi dall’essere isolata e compressa, a nord, dai due limes eretti in epoca romana, la Scozia è stata in realtà un importante crocevia di culture e civiltà: dai Celti ai Pitti, dai Romani alle popolazioni scandinave, passando per i Britanni e gli Anglosassoni. La composita e ricchissima identità del Paese, che si forma in età altomedievale, è ora oggetto di una splendida pubblicazione, “Crucible of Nations: Scotland from Viking Age to Medieval Kingdom”, promossa da National Museums Scotland e firmata dal ricercatore Adrián Maldonado.

di Elena Percivaldi (articolo e foto ©Riproduzione vietata)*

Lungi dall’essere un territorio isolato e compresso, a nord, dai due limes eretti in epoca romana – il Vallum Hadriani, costruito a partire dal 122 d.C. per contenere i Pitti, e il Vallum Antonini, realizzato nel 142 più a nord ma abbandonato dalle legioni già dopo soli vent’anni – la Scozia è stata in realtà un importante crocevia di culture. Abitata sin dal Mesolitico, la propaggine settentrionale della più grande isola britannica con le sue numerose isole vide susseguirsi, dall’antichità al Medioevo, varie civiltà e genti: dai Celti ai Pitti, dai Romani alle popolazioni scandinave, passando per i Britanni e gli Anglosassoni, ciascuna delle quali ha lasciato sul territorio profonde tracce – tanto storico-artistiche quanto culturali e linguistiche – della sua presenza. A chiarire le dinamiche e l’impatto sull’identità della nazione di questo lungo e complesso dialogo giunge ora un nuovo libro, Crucible of Nations: Scotland from Viking Age to Medieval Kingdom” ( “Crocevia di nazioni: la Scozia dall’età vichinga a regno medievale”), appena pubblicato da National Museums Scotland, i musei nazionali scozzesi.

Il volume e la fibula di Hunterston, riprodotta in copertina (Photo © Neil Hanna)

Scritto da Adrián Maldonado, ricercatore presso lo stesso ente museale, il volume giunge a coronamento di un progetto di ricerca – il Glenmorangie Research Project, sponsorizzato dall’omonima azienda produttrice di whiskey – iniziato 13 anni fa proprio per “rileggere”, utilizzando un punto di vista inedito, le vicende scozzesi nel periodo compreso tra il IX e il XII secolo, dal tramonto cioè dei Pitti fino alla nascita del Regno di Alba, nucleo del futuro Regno di Scozia. Un viaggio nel tempo e nello spazio di ampio respiro e di grande impatto anche visivo, grazie alle oltre 200 immagini degli (spesso straordinari) reperti conservati nelle collezioni museali scozzesi. Oggetti iconici e molto noti, come la spettacolare fibula di Hunterston (inizio VIII secolo, di probabile produzione irlandese, simbolo di “fusione” tra elementi pagani e cristiani) oppure il prezioso tesoro di argenti di Skaill, risalente all’età vichinga (con i suoi 8,11 kg è il più “pesante” della Scozia e uno dei più imponenti della Scandinavia) e tornato alla luce casualmente nel 1858 nei pressi di Sandwick, nelle Orcadi. Ma anche ritrovamenti molto più recenti, come le iscrizioni runiche anglo-sassoni e un raro vago in corniola proveniente, sembra, addirittura dall’India, a riprova di quanto intense e vaste fossero le relazioni commerciali in un’epoca da sempre, e assolutamente a torto, ritenuta “immobile” e oscura.

La fibula di Hunterston, uno dei tesori del Museo Nazionale di Scozia (Photo © Neil Hanna)

“Il volume – spiega Maldonado – indaga ciò che i reperti materiali ci dicono riguardo a questo periodo così importante ma poco compreso della storia scozzese. La novità di questa ricerca è rappresentata dalla molteplicità delle prospettive con cui sono stato considerati gli eventi accaduti durante l’epoca vichinga, che in quest’angolo della Gran Bretagna si è caratterizzata, per la verità, nella stretta interconnessione tra popolazioni diverse, dai Pitti ai Gaeli, dai Bretoni agli Scandinavi agli Anglosassoni. Considerando l’insieme degli oggetti custoditi nelle nostre collezioni, non possiamo non notare come la Scozia sia il frutto del dialogo costante tra elementi culturali diversi. Davvero sorprendente quanto, ad esempio, molti materiali tradizionalmente considerati “vichinghi” presentino invece anche chiare influenze esterne, britanniche e irlandesi”.

Maldonado posa con la fibula di Hunterston nel Museo Nazionale di Scozia (Photo © Neil Hanna)

“La ricerca in corso – aggiunge Chris Breward, direttore dei Musei nazionali scozzesi – mostra le infinite potenzialità delle nostre collezioni: non si tratta solamente di una serie di oggetti da preservare, esporre e conservare, ma di reperti “vivi” che, se opportunamente riconsiderati e studiati alla luce delle nuove tecnologie, possono portare davvero a nuove importanti scoperte”.

Sin dall’esordio, nel 2008, il Glenmorangie Research Project ha permesso ai Musei nazionali scozzesi di migliorare l’impatto dell’archeologia e della storia scozzese medievale sul vasto pubblico. Un obiettivo raggiunto attraverso due importanti pubblicazioni – “Early Medieval Scotland: Individuals, Communities and Ideas” e Scotland’s Early Silver -, ma anche moltissime attività e un fitto calendario di eventi (come la conferenza “Rediscovering Viking-age Scotland with Michael Wood”, che si può rivedere qui sotto).

Un lampante esempio di quanto la virtuosa collaborazione tra pubblico e privato, iniziata da una circostanza “casuale” – il fatto che non lontano dalla distilleria di Glenmorangie sorgesse, da tempi immemori, una monumentale stele pitta, “musa ispiratrice” del progetto – possa tradursi in una grandiosa iniziativa culturale, dove ricerca scientifica e alta divulgazione procedono di pari passo allo scopo di valorizzare il patrimonio morale e identitario del Paese e renderlo accessibile ad un pubblico vasto ed eterogeneo. Proprio il tipo di iniziative, insomma, che si potrebbero fare benissimo anche a casa nostra se solo si avesse la volontà (ma anche la capacità e, diciamo pure, l’audacia) di pensarle, progettarle e metterle in pratica.

La stele Hilton of Cadboll Stone. Ricostruzione di Barry Grove (foto: Wikimedia Commons)

La stele “simbolo” del progetto, la Hilton of Cadboll Stone, risale all’VIII secolo d.C. ed è attualmente conservata nei Musei nazionali scozzesi. Segnalata come ancora al suo posto, sulla costa a Easter Ross, nella penisola di Tarbat, verso la metà dell’Ottocento, la stele, mutila della parte inferiore, venne rimossa e trasportata al castello di Invergordon finché non fu donata, nel 1921, al British Museum di Londra. Una decisione che scontentò la comunità locale, la quale da allora provò in tutti i modi di riportare il suo tesoro in patria riuscendovi solo agli inizi del nuovo millennio. Una successiva campagna di scavo, iniziata nel 2001, ha portato al ritrovamento di sei sepolture – segno che la pietra era stata riutilizzata come segnacolo – e soprattutto della parte mancante della stele stessa, consentendo di ricostruirne per intero la complessa simbologia: non solo la già nota scena di caccia aristocratica, al centro della quale campeggia una donna a cavallo con alla sua destra uno specchio e un pettine, ma anche il resto dei bellissimi motivi ornamentali tipici dell’arte dei Pitti che ne fa un capolavoro della scultura altomedievale. Uno di questi motivi decorativi è diventato il logo delle distillerie Glenmorangie.

Il volume “Crucible of Nations: Scotland from Viking Age to Medieval Kingdom” può essere acquistato direttamente dallo shop del National Museums Scotland oppure su Amazon, accedendo a questo link.

*L’articolo è pubblicato in contemporanea sul blog dell’Autrice, “Vi racconto una Storia…”.

©STORIE & ARCHEOSTORIE. RIPRODUZIONE RISERVATA.

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