Sono decisamente tormentate le vicende di gran parte dei modelli in gesso di Lorenzo Bartolini (1777 – 1850) conservati nella Gipsoteca della Galleria dell’Accademia di Firenze. Il lungo periodo di abbandono in cui sono state tenute per molti anni, gli inconsapevoli erronei interventi di restauro del passato, il devastante passaggio dell’Alluvione del 4 novembre 1966, hanno lasciato segni indelebili sulle delicata superficie del gesso, alterandone e trasformandone la consistenza materica delle opere. In che misura, lo ha messo in luce la campagna fotografica realizzata con la luce ultravioletta, i cui risultati sono stati presentati ieri a coronamento di un progetto pilota realizzato dal museo fiorentino insieme a Sabap di Firenze e le province di Pistoia e Prato e  a SUPSI – Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana di Mendrisio.

“Iniziata a gennaio 2024, questa ricerca è finalizzata a comprendere più dettagliatamente le modalità con cui lo scultore ha realizzato i suoi modelli in gesso – sottolinea Cecilie Hollberg, direttore della Galleria dell’Accademia di Firenze – e a caratterizzare i materiali utilizzati nelle diverse fasi di lavorazione in modo da avere un quadro più chiaro e completo del suo processo creativo. Sono molto contenta di aver condiviso questo progetto, così innovativo e all’avanguardia con due partners come Sabap e Supsi, una collaborazione e uno scambio davvero importante che ci auguriamo di realizzare anche con altri musei internazionali.”

“La collezione della Gipsoteca – aggiunge Alberto Felici, funzionario restauratore della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato (Sabap) e curatore del progetto di ricerca –è molto vasta. Le indagini sono state condotte su una piccola ma rappresentativa selezione di modelli, scelta fatta insieme alla Direzione della Galleria dell’Accademia di Firenze. Si possono qui ricordare i monumenti sepolcrali a Leon Battista Alberti e a Vittorio Fossombroni, le cui opere in marmo sono conservate nella chiesa di Santa Croce. La speranza è che, nel tempo, possano essere estese a gran parte delle opere esposte. Sono stati individuati 10 modelli su cui le indagini sono state svolte in modo approfondito, mentre su un gruppo più ampio di opere, circa una quindicina, la diagnostica si è limitata ad una investigazione più circoscritta.”

Ultravioletti e immagini 3D: le indagini diagnostiche sui gessi

Il processo metodologico utilizzato ha per grandi linee seguito quello messo a punto nel progetto di ricerca sulla collezione di modelli dello scultore svizzero Vincenzo Vela (1820-1891) presso il Museo Vincenzo Vela di Ligornetto (https://data.snf.ch/grants/grant/189036) in Svizzera, che ha previsto inizialmente la raccolta di informazioni storiche e archivistiche, a cui sono seguite una serie di indagini non invasive.

Le prime indagini sono state le osservazioni visive sulla superficie dei modelli eseguite dai tecnici della Sabap e della Supsi, cercando di individuare quei segni della lavorazione della materia che consentissero di comprendere le procedure utilizzate dallo scultore nella realizzazione del modellato e nelle tecniche di formatura. In particolare queste ultime hanno dimostrato una grande varietà di soluzioni e una estrema perizia nell’assemblaggio di calchi e tasselli.   

Le tormentate vicende conservative di gran parte di queste opere, si diceva poc’anzi, hanno lasciato segni indelebili sulle delicata superficie del gesso. La presenza dei residui di vecchi fissativi e protettivi oltre che le sostanze inquinanti presenti nell’acqua dell’Arno, sono infatti ben visibili con questa tecnica di indagine, che gli attenti restauri eseguiti in occasione dei recenti allestimenti museali sono stati in grado di ridurre ma non eliminare del tutto. Le indagini radiografiche, eseguite durante le ore notturne, condotte per raccogliere informazioni sulla presenza di strutture di supporto lignee o metalliche e sulla forma e le dimensioni delle cavità interne, hanno consentito di valutare anche lo spessore del gesso oltre che individuare tecniche e materiali impiegati nei precedenti interventi. Queste informazioni sono determinanti per appurare l’attuale stato di conservazione, soprattutto in previsione dello spostamento di queste opere in occasione di mostre e prestiti. Infatti, grazie a queste indagini, individuando le specifiche criticità conservative, l’eventuale movimentazione delle opere potrà essere svolta in modo più consapevole.

Infine sono stati scansionati in 3D, 4 modelli in gesso e le corrispondenti opere in marmo. Dalla sovrapposizione delle scansioni è possibile verificare con millimetrica precisione il grado di finitezza del modello in relazione al marmo, potendo così valutare quali e quante differenze vi siano state nella trasposizione. In questo modo è possibile definire quale sia stato per l’artista il valore e la funzione  del modello in gesso.

Il progetto è stato realizzato da un team internazionale di lavoro multidisciplinare formato da esperti scientifici, restauratori, storici dell’arte e tecnici: Cecilie Hollberg, Eleonora Pucci, Graziella Cirri e Elvira Altiero per la Galleria dell’Accademia; Giovanni Nicoli, Elisabeth Manship e Pierre Jacard  per la SUPSI; Alberto Felici per la SABAP. Ottaviano Caruso ha eseguito la documentazione con luce UV, Thierry Radelet, le radiografie e XRF, mentre, Mattia Mercante, le scansioni 3D.

Fonte: Galleria dell’Accademia di Firenze

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Una replica a “Studi / Quei gessi “tormentati” di Lorenzo Bartolini: presentati a Firenze i risultati delle analisi sulle opere conservate all’Accademia”

  1. ” Le indagini radiografiche, eseguite durante le ore notturne“. Curiosita’: perche’ nelle ore notturne ? Grazie per la gentile attenzione, e buon lavoro ! Luca

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